Sono stati condannati dalla Corte di Assise di Genova a un periodo di reclusione pari rispettivamente a 21 e 14 anni Alessio e Simone Scalamandré (30 e 22 anni), che secondo l’accusa uccisero il 10 agosto 2020 il padre Pasquale durante una discussione divampata all’interno della casa nella quale vivevano nel quartiere genovese di San Biagio. In quel periodo l’uomo si trovava sotto indagine per maltrattamenti verso la madre dei ragazzi e aveva raggiunto l’abitazione dei figli per chiedere al maggiore dei due di fare un passo indietro e di cancellare le accuse nei suoi confronti, dal momento che di lì a poco si sarebbe svolto il processo. Invece, in quell’appartamento accadde l’irreparabile e le cronache raccontano di una lite nella quale la vittima è stata uccisa a colpi di mattarello e altri oggetti.
Come ricorda il “Corriere della Sera”, i due fratelli “erano imputati di omicidio volontario in concorso, aggravato dal vincolo di parentela, reato per il quale la pena minima è 21 anni (il pm Francesco Cardona aveva chiesto 22 e 21 anni). Proprio per questo l’avvocato di Alessio, Luca Rinaldi, aveva sollevato, con il parere favorevole del pm, la questione della legittimità costituzionale dell’articolo di legge previsto dal codice rosso, che impedisce che le attenuanti superino le aggravanti in caso di vincolo di parentela”.
FRATELLI UCCISERO PADRE VIOLENTO, GLI AVVOCATI DI PARTE CIVILE: “SENTENZA CHE RAFFORZA LA NOSTRA CONVINZIONE…”
Sulla vicenda dei figli che uccisero il padre violento, la Corte d’Assise presieduta dal giudice Massimo Cusatti non ha ritenuto di inviare gli atti alla Corte, ma – scrive il CorSera – “nel calcolo della condanna del più piccolo dei due fratelli, Simone, ha applicato l’articolo 114 del Codice penale che fa riferimento al contributo minimo dell’imputato nella commissione di un reato in concorso, una delle poche attenuanti che consente di abbattere sensibilmente la pena, come chiesto dall’avvocato di Simone, Nadia Calafato”.
Questo il commento degli avvocati di parte civile Stefano Bertone, Irene Rebora e Greta Oliveri: “Sentenza che rafforza la nostra convinzione sul fatto che i due imputati in maniera fredda e calcolata abbiano ucciso il loro padre”.