Merita senza dubbio di essere raccontata la storia di Matteo Gorelli: 10 anni fa uccise un carabiniere, oggi aiuta i ragazzi come lui a rifarsi una vita presso la comunità milanese Kayros. Era la notte del 25 aprile del 2011 quando Matteo Gorelli, all’epoca 19enne, veniva fermato da due carabinieri dopo un controllo: lui e i suoi amici erano appena stati ad un rave party vicino a Grosseto, e il test alle sostanze risultò positivo con conseguente ritiro della patente.



Matteo non la prese bene e scagliò la sua rabbia contro i due appuntati, mandandone in coma uno (che sarebbe poi morto l’anno seguente), e facendo perdere un occhio all’altro. Arrestato, venne poi condannato all’ergastolo: «L’11 maggio 2012 – le parole al Corriere della Sera – il giorno più brutto della mia vita. Ho pensato che il gesto che avevo compiuto, per quando potessi sforzarmi di rimediare, conteneva l’irreparabile. Avevo negato la vita a un’altra persona, loro la negavano a me. Mi pareva ormai tutto deciso, finito».



MATTEO GORELLI, DA ASSASSINO A EDUCATORE GRAZIE ALL’AIUTO DELLA MAMMA E DELLA MOGLIE DELLA SUA VITTIMA

Da quel giorno ha iniziato a scontare la sua pena, poi ridotta a 20 anni di galera, senza più commettere alcun passo falso: al carcere di Bollate ha preso la laurea in pedagogia alla Bicocca con 110 e lode, e gode di permessi di lavoro con cui ogni giorno si reca presso la comunità Kayros, dove esercita come educatore. Un cambiamento di vita evidente, grazie anche a due donne che gli sono sempre state vicine nonostante il terribile atto commesso: Irene, la mamma, e Claudia, la vedova del carabiniere ucciso. «Ero gli occhi e le orecchie di Matteo – racconta la madre ricordando i tempi subito dopo la condanna – mio figlio doveva vedere e ascoltare le vittime, per potersi pentire fino in fondo. Lui era recluso in carcere, così andavo io da loro». La vedova aggiunge: «Forse non è un caso che quella notte abbia incontrato proprio il mio Antonio (l’appuntato ucciso da Matteo ndr). Credeva con tutto se stesso nel recupero degli adolescenti, per questo faceva il carabiniere. Pensando a come questo ragazzo è diventato oggi, un senso a tutto questo ora lo trovo». Oggi Matteo è un ragazzo diverso, riabilitato, praticamente rinato, una storia iniziata nel più tragico dei modi ma che ha visto un lieto fine. «È il deserto più arido del mondo e più vicino al cielo, in Cile – spiega il 29enne riferendosi all’Atacama, il nome a cui ha dato il suo nuovo progetto giovanile – lì dove la vita pare non possa esserci nascono rose che durano un giorno, ma forti e bellissime».

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