Si parla sempre più spesso di ricostruzione dell’Ucraina e fioriscono convegni e incontri per delinearne i punti salienti, gli investimenti finanziari e gli operatori sul campo. Iniziative senza dubbio lodevoli ma che, almeno nel comune cittadino, suscitano qualche perplessità, perché per ricostruire occorre che la guerra finisca. Le dichiarazioni dei contendenti e delle potenze coinvolte non paiono ipotizzare una fine vicina delle ostilità. Anzi, Russia e Ucraina continuano a proclamare che combatteranno fino alla vittoria, alla Che Guevara: “Hasta la victoria siempre. Patria o muerte”.



Diverse domande sulla questione si pone in un recente articolo anche l’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale), a partire da un punto essenziale: chi pagherà i costi. Secondo la Banca Mondiale i danni della guerra ammontano a più di 400 miliardi di dollari. Una delle proposte circolanti sarebbe di espropriare in modo definitivo i beni russi attualmente bloccati nei Paesi che hanno adottato sanzioni contro Mosca. Beni che ammontano a 390 miliardi di dollari (30 privati e 360 pubblici). La proposta presenta notevoli problemi giuridici, potrebbe dar luogo a pesanti ritorsioni russe e, comunque, presuppone una vittoria dell’Ucraina.



Nonostante non sia chiaro come sarà pagata la ricostruzione e la guerra continui, rendendo così sempre più alto il costo della ricostruzione, governi e imprese si stanno attivando per guadagnare posizioni in quello che la Camera di Commercio ucraina ha definito “il più grande cantiere del mondo”. A metà dello scorso febbraio si è tenuto a Varsavia un convegno intitolato Recovery Construction Forum, che ha interessato imprese del settore edilizio di tutta la Ue, all’interno della fiera internazionale Rebuild Ukraine.

Presenti, ovviamente, anche banche e gruppi finanziari e tra questi BlackRock, la più grande società di investimento del mondo, che non poteva essere assente a un evento di questo tipo. BlackRock suscita interesse, però, sotto un altro profilo, e cioè le sue partecipazioni nei principali esponenti dell’industria bellica, quella parte del sistema economico che da questa guerra sta traendo notevoli vantaggi.



Torna qui utile una ricerca sulle spese militari effettuata dal Sipri (Stockholm International Peace Research Institute), secondo la quale nel 2022 globalmente la spesa militare è cresciuta del 3,7% reale, al netto dell’inflazione. Il dato comprende tutte le spese dei governi riferite all’ambito militare, quindi non solo per le armi, e ha raggiunto nel 2022 la vetta di 2.240 miliardi di dollari. Ai primi posti per spesa si trovano Stati Uniti (877 miliardi e 39% del globale), Cina (292 miliardi e 13%)  e Russia (86,4 miliardi e 4%), che contano per il 56% della spesa mondiale. Nel 2022, l’Ucraina ha speso 44 miliardi, pari al 34% del Pil, contro il 3,2% del 2021.

Le spese militari sono cresciute particolarmente nell’Europa centro-occidentale, raggiungendo 345 miliardi di dollari e superando per la prima volta le spese del 1989, quando finì la Guerra fredda. In diversi Stati l’aumento si è verificato già dal 2014, con la guerra nel Donbass e l’annessione della Crimea. Incrementi particolarmente rilevanti si registrano per Finlandia, Lituania, Svezia e Polonia.

L’Ucraina non è di certo l’unico “motore” di questo aumento delle spese militari, basti pensare alle tensioni in Asia per Taiwan e l’espansionismo cinese, che sta portando al riarmo del Giappone. Secondo i dati Sipri, nel 2022 Tokio ha incrementato le spese militari del 5,9% sul 2021, portandole a 46 miliardi di dollari, il dato più alto dal 1960. Tuttavia, le vicende ucraine sono all’origine degli incrementi in molti Stati europei e continueranno ad aumentarne le spese militari fintanto che durerà la guerra.

Recita un detto, attribuito a Giulio Andreotti ma credo di origine popolare: “A pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina”. Su questa linea, la perplessità iniziale, cioè come parlare di ricostruzione se la guerra continua, viene risolta. L’industria militare ha già ottenuto buoni risultati dalla guerra e continuerà ad averne anche a guerra terminata, dato che sarà difficile una vera e duratura pace. Continuerà quindi la corsa agli armamenti, se non altro per ricostituire le scorte. Si sta quindi avvicinando il momento in cui potrà passare la mano all’industria della ricostruzione, che porrà fine alla guerra.

C’è solo da sperare che le forze che si fronteggiano in Ucraina non tirino troppo la corda e che non finisca tutto in quella nube che porrebbe fine ad entrambe le industrie e a noi semplici cittadini, italiani, ucraini, russi e via dicendo.

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