Vi ricordate il film di Alberto Sordi Finché c’è guerra c’è speranza, imperniato sulla squallida figura di un venditore di armi senza scrupoli? Mentre ci stiamo avviando al millesimo giorni di guerra in Ucraina, quel personaggio assomiglia all’Europa che sembra pensare solo alla guerra senza tentare di proporre alcuna altra soluzione. Non solo: visto il sostanziale stallo delle ostilità l’unica scelta sembra quella di alzare la posta, come fossimo al casinò.



Purtroppo, giocando così, sono sempre molti di più i giocatori che finiscono spiantati che non i vincitori, il che è esattamente il risultato verso cui si stanno incamminando i Paesi europei che non vogliono rendersi conto – al di là di ogni aspetto umanitario – dei rischi che aumentano alle proprie frontiere.



Sto parlando di Unione Europea e non di NATO, perché per la NATO la guerra in Ucraina è comunque un affare, una polizza sulla vita dell’associazione, una benedizione per i tanti che guadagnano da una cronicizzazione del conflitto e – visto che le problematiche umanitarie non scaldano il cuore né di Stoltenberg né alla Casa Bianca – ecco l’annuncio di altri 40 miliardi di aiuti militari a Kiev (in una sola tranche, tutta la legge di bilancio italiana di quest’anno!).

Il recente meeting di Bruxelles dei ministri della Difesa è stato così una ruggente performance dei “falchi”. Gente che sta per lasciare il posto, ma che ci tiene a dare l’ultima zampata. Josep Borrell – alto commissario europeo agli Esteri – ha così invocato il “liberi tutti” per autorizzare attacchi di Kiev direttamente sul territorio russo anche con armi europee, mentre il ministro della Difesa estone Hanno Pevkur è andato addirittura oltre sostenendo che l’UE “deve sostenere Kiev fino alla vittoria finale fornendo aiuti militari, munizioni e permettendo attacchi diretti sul territorio russo”. Più prudenti altri Stati (come l’Italia), ma la sostanza non cambia, anzi, entro la fine dell’anno 75mila soldati di Kiev saranno addestrati all’interno della UE.



Evidentemente in pochi, a Bruxelles e in molti governi, si rendono conto del pericolo di una eventuale replica russa.

Intanto i droni ucraini sono arrivati a colpire una raffineria a 1.100 km dentro i confini russi e Zelensky in settimana ha annunciato che il suo Paese ha pronto un nuovo missile balistico, proprio mentre le forze ucraine hanno sì attaccato a Kursk, ma rischiano di essere accerchiate nel Donbass.  Guerra ad oltranza, quindi, tanto che paradossalmente i contatti tra le parti erano ben più numerosi subito dopo l’inizio dell’invasione russa, poi è stato solo un crescendo di voluta tensione con il sabotaggio di ogni possibile intesa.

Una politica che davanti all’appoggio sempre più tiepido dell’opinione pubblica europea punta ad esempio a minimizzare sull’attuale situazione democratica nella “libera” Ucraina che stiamo difendendo. Tutti sappiamo che Putin è un simil-dittatore, ma pochi sanno che Zelensky è scaduto da tempo nel suo mandato, che l’opposizione è stata sradicata, che 12 partiti considerati “filorussi” sono stati messi al bando, che non si sa nulla di molti deputati dell’opposizione, che ovviamente non c’è libertà di stampa ma che soprattutto è stata recentemente prorogata la legge marziale per altri 4 mesi e nessuno chiede un minimo rendiconto su come e dove siano utilizzate le armi e i fondi europei concessi a Kiev.

Addirittura Zelensky, con un recente decreto, ha messo fuori legge la Chiesa ortodossa russa in tutto il Paese, ma a ricordarlo – criticando pesantemente questa sua scelta – è stato solo papa Francesco all’Angelus di domenica scorsa, senza suscitare commenti neppure da parte dei media italiani, che hanno fatto subito morire la notizia.

Non può e non deve insomma passare il sospetto – per la candida coscienza della nostra opinione pubblica – che l’Ucraina, pur attaccata ed invasa da Putin che ha quindi la gravissima responsabilità di aver iniziato il conflitto armato, potrebbe però aver avuto e tuttora stia avendo comportamenti antitetici a quelli dei Paesi democratici.

Siamo sicuri che una parte considerevole di ucraini non vorrebbe invece avviare trattative di pace, soprattutto quelli dell’Ovest del Paese che non hanno mai potuto sopportare le popolazioni “russe” dell’Est? Non si può dirlo, così come si evita di parlare delle interferenze USA nella politica ucraina degli ultimi anni, che hanno portato al potere Zelensky, e dell’attività delle varie mafie che prosperano nel Paese. Problemi che non sembrano avere minimamente acceso interesse in Europa, dove – Orbán escluso – con diverse gradazioni tutti sono più o meno convinti che si debba continuare solo così: “la guerra continua!”.

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