Dario Fabbri, analista geopolitico per anni tra le firme della rivista Limes, prima di fondare Domino, di cui è direttore, ha rilasciato un’intervista per Libero, nella quale ha approfondito la situazione del conflitto tra Russia e Ucraina, parlando anche ciò che sta accadendo in Africa. In merito alla guerra è convinto che le nuove posizioni di apertura di Zelensky sulla Crimea e su di una possibile trattativa sono motivate “da due ragioni”.
In primo luogo, spiega Fabbri, “è ciò che vogliono gli USA“, e secondariamente “è una sorta di prova, per vedere che effetto fa, un modo per preparare l’opinione pubblica alla possibilità di negoziati”. La controffensiva, infatti, è ferma da un po’, mentre si avvicina sempre di più l’autunno e “si può pensare che a un certo punto siano di Stati Uniti a spingere l’Ucraina a trattare“. Infatti, mentre la guerra rallenta, “gli Stati Uniti ormai hanno raggiunto il loro scopo di logorare la Russia e consumarne le risorse militari”. Secondo Fabbri, infatti, ora gli USA “hanno altre priorità”, come le elezioni del 2024, oppure quelle di Taiwan a gennaio, “che segneranno nuove tensioni con la Cina”.
Dario Fabbri: “L’Occidente, nel mentre, perde terreno in Africa”
Andando oltre alla situazione tra Russia e Ucraina, poi, Dario Fabbri ci tiene anche a parlare dell’Africa, dove sono sempre più frequenti i colpi di stati, prima in Niger, ed ora in Gabon. “È palese”, spiega l’analista, “che la Russia, per il tramite della compagnia di mercenari Wagner, abbia avuto un ruolo, diretto o indiretto, nei vari colpi di stato”, così come è chiaro che nel continente africano si respiri sempre di più “un clima anti-occidentale“.
In Africa, secondo Fabbri, “molta gente è insofferente alla Francia vetero-coloniale, agli Stati Uniti e agli aiuti veicolati dall’Unione Europea con tono paternalistico”, con l’effetto di aumentare il consenso verso gli attori che hanno missioni attive nel continente, come Russia, Cina, Turchia, Tripolitania, Somalia e Gibuti. Lo dimostra, per esempio, il fatto che l’Egitto e l’Etiopia abbiamo chiesto di entrare tra i paesi BRICS, peraltro “mentre la guerra è in corso”, in una sorta di messaggio verso gli USA, “a cui non temono di dire di no”. E proprio i BRICS, secondo Fabbri, seppur siano un’alleanza “più simbolica che reale, nel senso che sono paesi molto diversi, spesso divisi da rivalità”, dimostrano il fatto, da non trascurare, “che Mosca non è isolata“.