Caro direttore,
Claudio Tito scrive (Repubblica del 13 maggio) sulla necessità ineludibile di sostenere l’Ucraina di fronte alla guerra “costituente” (così Panebianco, Corriere della Sera del 4 maggio) scatenata da Putin contro “gli Occidenti”. Anzi, il presidente russo sostiene che la guerra è proprio provocata dagli occidentali. Insomma, una guerra costituente perché mira a una rivoluzione capace di “cambiare i connotati” del mondo e dei princìpi anche giuridici che non senza fatica – e pure con qualche approssimazione e incertezza – ne reggono le relazioni.
Quanto all’Ucraina, dal tentato “genocidio per fame” (Holodomor) del tempo staliniano alla cercata cancellazione per progressiva occupazione e annessione del tempo putiniano, la diversità sta oggi nell’atteggiamento in specie proprio degli Stati occidentali: non più di sostanziale indifferenza ma invece di collaborazione. Pur con varietà di posizioni, infatti, i Paesi dell’Occidente stanno contribuendo alla difesa dell’Ucraina conformemente all’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, secondo cui nulla “pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale”. Misure che però il Consiglio di Sicurezza mai è stato in grado di adottare a motivo del diritto di veto concesso, nelle modalità di voto, fra gli altri proprio alla Federazione Russa. Ma il dato essenziale è che aiutare oggi l’Ucraina a difendersi significa andar ben oltre, fino a difendere i valori della democrazia liberale contro quelli dell’autocrazia (com’è quella russa o cinese).
E in Italia son stati proposti, di fronte alla sacrosanta (lo dico come professore dell’Università Cattolica) fornitura di armi all’Ucraina, tre referendum abrogativi di norme nazionali variamente attinenti alla materia (con riferimento: al decreto legge 185/2022 convertito in legge 8/2023; alla legge 185/1990; al decreto legislativo 502/1992), sulle cui problematiche non è qui il caso di intervenire per lasciar magari spazio a una prossima occasione. Da un altro canto si propugna, per fortuna, l’aumento e la miglior specializzazione di tali forniture: in questo senso va l’appello Per un maggiore sostegno militare italiano all’Ucraina, a prima firma Valerio Federico, di +Europa.
Orbene, entrando senza approssimazioni nel dibattito sull’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea (tralasciando quello nella Nato, che almeno dal 2008 si mette in prospettiva) Claudio Tito auspica che si vada per le spicce nel coglier rapidamente i frutti del suo status di Paese candidato all’adesione già dal 23 giugno 2022, assieme alla Moldova. Scrive che occorre agire con “sforzi creativi, proporzionali ai pericoli” che la pace mondiale sta subendo. Una “formidabile” arma politica, prescindendo “dalle difficoltà di rispettare tutti i requisiti richiesti”, sarebbe perciò quella della “Ucraina subito nella Ue“, essendo “indispensabile uscire da un certo burocratismo” presente “nei palazzi e negli uffici di Bruxelles”, nelle relative “tecnostrutture”, senza insomma attaccarsi alla “interpretazione rigida e fiscale dei Trattati” e non dando “soddisfazione” a “qualche oscuro burocrate che confonde l’ottuso rispetto delle regole con la libertà”. E conclude osservando che «”quando i tempi sono straordinari anche la forma e la sostanza lo devono essere”.
Certamente i tempi sono straordinari. San Paolo oggi scriverebbe nuovamente che “il tempo si è fatto breve” (Corinzi 1, 7,29). Così prima di dire, col Vangelo di Marco (1,15), che “il tempo è compiuto” è bene sollecitare l’eliminazione dei formalismi. Ma formalismo non è la clausola di un Trattato internazionale, come quello istitutivo della Nato, dove all’art. 5 si prevede che le parti contraenti “convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza”. Non si può quindi non concordare con la presidente del Consiglio dei ministri, Meloni, quando auspica non solo che l’Ucraina non entri nell’Organizzazione del Patto atlantico ma che addirittura essa disponga costituzionalmente un proprio status di neutralità permanente, come accaduto ad esempio in Austria, onde “tranquillizzare” la Federazione Russa. Beninteso, ammesso che quest’ultima si lasci rassicurare da ciò che non comporti l’affermazione a qualsiasi costo del Russkij Mir (nel significato duplice di “pace” e “popolo” russo) capace di giustificare, anzi di promuovere, avventure espansionistiche imperiali nel ricordo di tempi passati.
Sempre Meloni ribadisce, per converso, il proprio “convinto sostegno all’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea”. Tuttavia, a immagine e somiglianza dell’art. 5 del Trattato Nato, l’art. 42.7 del Trattato sull’Unione Europea stabilisce a propria volta che, quando “uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri” che abbiano una situazione costituzionale di neutralità, com’è il caso nell’Ue – lo si diceva – dell’Austria ma certo non dell’Italia. Con ciò, sempre fuor di formalismo e di fronte alla presente situazione bellica in Ucraina, l’adesione all’Ue di tale Paese determinerebbe un’automatica estensione dello stato di guerra guerreggiata con la Russia ad altri Paesi, Italia compresa, con conseguenze apocalittiche anche dovendosi tener presente la possibilità, a quel punto sempre più concreta, di utilizzo dell’arma nucleare, con gli effetti preconizzati da Albert Einstein quando affermava di non sapere come sarebbe stata la terza guerra mondiale ma d’esser certo che la quarta sarebbe stata combattuta con pietre e bastoni. Il ritorno all’età della pietra!
Allora propugniamo piuttosto l’approfondimento delle relazioni di associazione, pienamente impegnative fra Ue e Ucraina almeno dal settembre 2017 a seguito dell’accordo internazionale appunto di associazione intervenuto fra le due parti contraenti nel 2014. Si tratta di relazioni rispetto alle quali tra l’altro si prevede che le parti “cooperano alla promozione della pace e della giustizia internazionale mediante la ratifica e l’attuazione dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale (Cpi) del 1998 e degli strumenti collegati”, nell’ambito del comune impegno “a promuovere l’indipendenza, la sovranità, l’integrità territoriale e l’inviolabilità delle frontiere”. Da questo punto di vista va ricordato che la Cpi ha emesso a marzo un mandato d’arresto – reso possibile dall’accettazione della sua giurisdizione, per tempi e casi definiti, tramite due dichiarazioni ucraine del 2014 e del 2015 – nei confronti del presidente della Federazione Russa (e di un’altra cittadina di quel Paese) per sottrazione internazionale di bambini nel teatro di guerra ucraino. Ma ancora l’Ucraina non è a pieno titolo membro contraente dello Statuto della Corte, ciò che invece ne farebbe apprezzare l’impegno per la difesa delle regole dello Stato di diritto (Rule of Law) a maggior ragione in presenza delle gravi violazioni del diritto internazionale massicciamente poste in essere dalle condotte russe a partire, almeno, dall’occupazione militare della Crimea nel 2014 e soprattutto dall’aggressione bellica realizzate dal 24 febbraio 2022.
Così, nell’accordo di associazione si precisa pure che Ue e Ucraina si impegnano “a realizzare un rapporto stretto e durevole fondato su valori comuni, ossia rispetto dei principi democratici, dello Stato di diritto, del buon governo, dei diritti umani e delle libertà fondamentali, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali, non discriminazione delle persone appartenenti a minoranze e rispetto della diversità, della dignità umana e adesione ai principi dell’economia di mercato, da cui risulterebbe facilitata la partecipazione dell’Ucraina alle politiche europee”.
Si pensi ad esempio, in particolare, quando l’accordo di associazione scrive (art. 3) che Ue e Ucraina “riconoscono che il loro rapporto si fonda sui principi dell’economia di mercato”; e che lo “Stato di diritto, il buon governo, la lotta alla corruzione, la lotta contro le varie forme di criminalità organizzata transnazionale e di terrorismo, la promozione dello sviluppo sostenibile e di un multilateralismo efficace sono essenziali per il rafforzamento del rapporto” reciproco. Sempre il contrasto alla corruzione è oggetto di altre norme dell’accordo, come gli artt. 14, 22, 147, 459. Così non dev’esser un caso che la cooperazione ucraina in materia abbia preso corpo il 16 maggio scorso addirittura con l’arresto del presidente della Corte suprema, accusato proprio di corruzione, dandosi concreta manifestazione di volontà indirizzata all’attuazione della cooperazione con l’Ue destinata – in un futuro sperabilmente prossimo di cessazione, sia sostanziale che formalmente regolata da un accordo con la Russia, delle ostilità – a far splendere la luce dell’adesione a pieno titolo all’Ue.
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