Tra i commentatori sembra diffusa l’opinione che la fine della guerra in Ucraina non sia prevedibile prima delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Un’osservazione che conferma il ruolo determinante che Washington ha nella questione. Tuttavia, resta la domanda sul perché l’Ucraina sia così importante nelle elezioni americane, tanto più che l’attuale campagna elettorale sembra concentrarsi su fatti interni, come la lotta all’inflazione. Questo in particolare in quella “America profonda” (spesso dimenticata dalle élites che governano il Paese) cui si rivolge Donald Trump, strategia avvalorata dalla scelta di J.D. Vance come candidato alla vicepresidenza.



Se si considera il reale svolgimento dei fatti, Washington non ha fatto molto per evitare questa guerra, al contrario, e il sostegno all’Ucraina dell’attuale governo sembra servire a presentare gli Usa come difensori della democrazia occidentale contro i regimi dispotici. Almeno contro quelli considerati nemici. Rimane il fatto che a pagare i costi di questa guerra, accanto all’Ucraina, vi sono in primo piano gli Stati europei. Costi pagati anche dai cittadini russi con il sacrificio di molte vite umane, ma con il rafforzamento, paradossalmente, del regime che ne è responsabile.



Credo che nessuno pensi possibile una vittoria di Kyiv, malgrado il contrattacco ucraino in territorio russo, dimostrazione di una notevole capacità di resistenza. Tuttavia, neppure Mosca può essere sconfitta, a meno di uno scontro diretto con Usa e Nato, ipotesi si spera non realistica, al di là di alcune posizioni incoscientemente estremiste. Peraltro pericolose, perché potrebbero provocare un incidente che porterebbe a un punto di non ritorno, rischio aumentato dalla nuova politica nucleare di Mosca.

Sembra quindi delinearsi una situazione di stallo, con una continuazione della guerra che ricorda la situazione della Corea e che provocherebbe solo ulteriori vittime e distruzioni inutili su entrambi i fronti. Appare perciò non solo razionale, bensì anche ragionevole e conveniente, iniziare trattative di pace con l’obiettivo immediato di un cessate il fuoco e la successiva ricerca di un nuovo equilibrio nella regione il più possibile stabile. Un equilibrio che porterà a sacrifici territoriali per l’Ucraina, che potrà recuperare una parte del suo territorio attualmente occupato dai russi, ma che dovrà rinunciare a Crimea e gran parte del Donbass.



Una soluzione certamente dolorosa, ma sotto la loro ostinata resistenza alla invasione russa sta emergendo anche tra gli ucraini la volontà di porre fine a questa tragedia e una progressiva sfiducia negli attuali governanti. I recenti rimpasti sono una chiara dimostrazione della crisi in cui versa la presidenza Zelensky. Una soluzione, quindi, dolorosa ma realistica, essendo l’unica possibile senza causare maggiori catastrofi.

In questa ottica, sarebbe opportuno cominciare ad affrontare seriamente i problemi che si porranno in Ucraina nel dopoguerra, a partire dalla creazione delle basi per una pacifica coesistenza con le varie minoranze presenti nel Paese. Principalmente quella russa, ma la questione riguarda anche, per esempio, ungheresi e romeni e i rispettivi governi. Problemi che risalgono a prima dell’invasione russa, resi ancor più pesanti da iniziative come quella di Zelensky di proibire la storica e secolare unione di una parte della Chiesa ortodossa ucraina con il Patriarcato di Mosca

La preoccupazione per il dopoguerra in Ucraina dovrebbe essere particolarmente sentita dalle parti di Bruxelles, dove sarebbe opportuno cominciare ad ipotizzare possibili soluzioni per i numerosi problemi che presenta l’Ucraina. Per citarne alcuni, l’ampia diffusione della corruzione, il potere degli oligarchi, le sovvenzioni all’agricoltura a danno di altri Paesi, tutti elementi che sono stati ostacoli, ancor prima della guerra, all’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea. Un’adesione di cui si parla con troppa e sconsiderata faciloneria, che fa il paio con la bellicosità che a tratti traspare non solo in Paesi che si sentono minacciati direttamente dalla Russia, ma anche nella tecnocrazia europea.

Come già accennato, i costi di questa insensata guerra ricadono soprattutto sull’Europa e su di essa ricadranno in buona parte anche i costi della ricostruzione. Sembrerebbe ovvio l’interesse dell’Unione Europea ad accelerare il processo di pace, rifiutando ogni complicità con la posizione americana che riduce la tragedia ucraina a un elemento della sua campagna elettorale, sulla cui qualità ci sarebbe peraltro molto da dire.

È urgente che Bruxelles e sempre più governi europei si facciano parte attiva per la cessazione delle ostilità e per l’avvio di un processo di pace. Forse negli Usa si pensa di poter aspettare novembre, ma nessuno dei candidati sembra chiedersi quale sarà il prezzo di questa attesa. Quante saranno le vittime da entrambe le parti mentre loro si scontreranno in televisione e in bei comizi?

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