Occorre dirlo subito: fossimo al posto del sindaco di Zaporizhzhya e non fossimo esperti di nucleare, avremmo detto le stesse cose (cfr. Corriere della Sera, 28 aprile 2022), usato le stesse frasi, utilizzato la medesima enfasi. Pienamente comprensibile. Ma volendo analizzare a mente fredda la situazione attorno e dentro la più grande centrale nucleare europea, composta da ben 6 reattori VVER da 1000 MW elettrici, progettati e costruiti dai russi, alcune considerazioni possono essere fatte.
Anzitutto, due notizie sulle condizioni attuali, come da bollettini quotidiani della Ukrainian Nuclear Society. Le 4 centrali nucleari, che ospitano 15 reattori per un totale di 13.800 MWe di potenza, stanno funzionando e producendo energia elettrica per gli attuali fabbisogni dell’Ucraina in modo stabile. Sette reattori sono connessi alla rete: due alla centrale di Rivne, due a quella di South Ukraine, uno a Khmelnytskyy e due a Zaporizhzhya.
Proprio quest’ultimo impianto nucleare è occupato dal 4 marzo da forze militari russe, ma continua ad essere gestito unicamente dagli operatori ucraini, con costante turnazione del personale. La situazione rappresenta certamente uno stress notevole per gli operatori, di sicuro non è una condizione adeguata e auspicabile nella gestione di una centrale nucleare.
Nessun cambiamento del campo radiologico nel sito della centrale, nell’area di controllo e in quella di osservazione. Secondo informazioni provenienti dall’Ispettorato Nucleare ucraino (Snriu), alcuni rappresentanti della società nucleare di Stato russa (Rosatom), alla presenza delle truppe di occupazione, hanno informato i manager e gli operatori della centrale dell’intenzione di includere l’impianto ucraino nel gruppo Rosatom. In seguito, i funzionari della società russa hanno iniziato ad osservare e analizzare i processi operativi e di gestione dell’impianto.
La novità di questi giorni, sottolineata con giusta preoccupazione dal sindaco, è il passaggio di due missili russi nello spazio aereo sopra la centrale. Diretti a colpire obiettivi da un’altra parte, ma anche in questo caso una situazione da evitare, tant’è che persino in tempi di pace le norme di sicurezza vietano il sorvolo delle centrali da parte degli aeromobili civili.
“E se un reattore nucleare fosse colpito da un missile?” diventa allora domanda spontanea da farsi. E realisticamente, quale risposta sarebbe corretta?
“Esploderebbe come una bomba”. No. Un reattore nucleare, è vero, contiene molto più uranio (3,8 tonnellate di Uranio-235) di una bomba nucleare. Un ordigno deve essere come minimo una sfera di 15 kg di U-235, se con materiale riflettente per i neutroni. Il nocciolo di un reattore è quindi equivalente a circa 250 testate atomiche, ma non può esplodere come una bomba. Per esplodere, infatti, la bomba ha bisogno di U-235 quasi puro, di norma al 97%: il combustibile di un reattore nucleare usa invece un contenuto di U-235 al 4%. Inoltre, per esplodere, la bomba ha bisogno di neutroni “veloci”: il combustibile di un reattore nucleare funziona invece con neutroni “lenti”. Se usasse solo neutroni “veloci”, si spegnerebbe.
Allora, “esploderebbe come Chernobyl”. No. I reattori attivi in Ucraina sono completamente differenti da quello di Chernobyl. In primis, quel reattore, raffreddato con acqua bollente e con grafite come moderatore dei neutroni, era “instabile”, per caratteristiche tecnologiche: in alcune condizioni operative, poteva aumentare la propria potenza. I reattori ucraini invece, raffreddati e moderati con acqua liquida, sono “stabili”. Il reattore di Chernobyl, come detto, usava un solido, la grafite, per moderare i neutroni e renderli “lenti”. L’esplosione fu causata dall’idrogeno, generato dal contatto tra acqua e grafite surriscaldata. I reattori ucraini non usano grafite.
Be’, comunque “contaminerebbe più di Chernobyl”. No. Il reattore di Chernobyl è della stessa taglia dei reattori ucraini (1000 MW elettrici). La grande dispersione di radioattività fu causata dall’assenza di un edificio di sicurezza del reattore e poi dall’incendio della grafite, che bruciando a lungo, generò una colonna di “fumi radioattivi” salita in cielo per alcuni chilometri, che fece diffondere la radioattività dai venti in alta quota. Le centrali ucraine, invece, hanno edifici di sicurezza in cemento armato di circa 1,7 metri di spessore per tutti i reattori. E come detto prima, questi reattori non usano grafite, ma acqua.
Almeno, “contaminerebbe come Fukushima”. Nemmeno. I reattori di Fukushima furono colpiti da un grande sisma e poi allagati da un grande tsunami. Il sisma colpì la rete elettrica esterna, lo tsunami mise fuori uso i generatori diesel di emergenza interni. La radioattività si diffuse per oltre 30 km. Per generare gli stessi danni a un reattore ucraino, con un evento dall’esterno, bisognerebbe contemporaneamente:
1) distruggere tutte le linee elettriche (di norma 2 o 3) che arrivano in centrale;
2) penetrare l’edificio di sicurezza del reattore (ossia il muro in cemento armato di cui sopra);
3) distruggere tutti i motori diesel di emergenza (di norma 3), protetti da altri muri in cemento armato, tipo bunker;
oppure:
3) distruggere tutti i sistemi di sicurezza per il raffreddamento del reattore (di norma 3, protetti da altri muri);
oppure:
3) danneggiare le piscine di stoccaggio del combustibile esaurito, protette anch’esse da strutture spesse in cemento armato, e non essere in grado di aggiungere acqua in qualche modo.
Considerazioni, in sintesi, che non portano ad escludere a priori un possibile danno al reattore, in caso di caduta di un missile sopra di esso, ma che indicano quali scenari drammatici sarebbero realisticamente da considerare evitabili.
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