Corrado Zunino ha ignorato gli avvertimenti dei militari ucraini. Lo riferisce il Comando operativo sud dell’esercito ucraino in relazione al ferimento del giornalista di Repubblica a Kherson. L’inviato «non ha informato del suo lavoro nella città» gli ufficiali responsabili per la stampa, inoltre quando è arrivato sul posto «ha ignorato i primi avvertimenti dei militari ucraini sul pericolo». In qualità di capo del gruppo, Zunino era tenuto a verificare che il fixer Bogdan Bitik «non solo indossasse un giubbotto con la scritta “press”, ma anche un giubbotto antiproiettile». Alla luce di tutto ciò, l’esercito ucraino sostiene che il giornalista italiano abbia «violato le regole di condotta dei giornalisti in conflitto». Ma il Comando operativo sud ribadisce che «in qualsiasi caso, uccidere o ferire giornalisti è un altro crimine di guerra della Russia».



Non si è fatta attendere la replica del quotidiano, che ha preso atto del comunicato, ma sottolineato che il suo inviato era «munito di documenti lasciapassare per la zona di Kherson regolarmente chiesti e rilasciati dalle autorità militari ucraine», inoltre ha precisato che il comportamento era improntato «al rispetto delle regole di condotta dei media in zona di guerra». D’altra parte, Repubblica ha interesse, proprio come le autorità dell’Ucraina, a chiarire ogni aspetto di tale vicenda, motivo per il quale attende il rientro di Corrado Zunino. Oltre ad esprimere cordoglio alla famiglia del fixer, ringrazia l’Ucraina per le cure prestate al giornalista ferito a Kherson.



CORRADO ZUNINO RICORDA IL FIXER BOGDAN BITIK

Proprio del fixer Bogdan Bitik ha parlato Corrado Zunino nel suo articolo per Repubblica pubblicato nell’edizione odierna del quotidiano. Racconta che il 46enne era rientrato dall’Indonesia, dove aveva vissuto con la moglie Erlia e il figlio 22enne Alexander. Voleva assistere la madre settantenne, ma al tempo stesso capire cosa fare dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Poi decise di accompagnare Zunino. Hanno percorso migliaia di chilometri insieme, vissuto esperienze difficili e affrontato situazioni tese. Come quando la loro auto, la terza a chiudere la missione umanitaria nel Donbas, venne urtata da un camion militare per errore, riportando la distruzione della fiancata. Avrebbe dovuto accompagnare Corrado Zunino ai confini della Bielorussia, per conoscere gli ortodossi dell’Occidente ucraino, ritenuti spie travestite da religiosi. «Sapeva dormire e mangiare nelle case ridotte a cenci da soldati senza riposo, Bogdan, ma la sua arte, la sua capacità di incontrare gli altri, la mostrava quando, di ritorno da un servizio faticoso, in auto ti raccontava la sua Ucraina. “Questo Paese ha bisogno di studiare di più e deve guardare a domani, a quando tornerà in pace e sarà obbligato smettere gli abiti del nazionalismo”. Sorrideva, e alzava il volume dell’ultimo Adriano Celentano».

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