Dopo l’annessione unilaterale della Crimea nel 2014 da parte della Russia e la guerra fratricida nel Donbas, che si è trascinata per otto anni, alla fine – “annunciata” da mesi di preparativi e ammassamento di truppe – la temuta invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte di Putin e dell’apparato bellico di Mosca è purtroppo avvenuta, senza che la diplomazia occidentale sia riuscita ad evitarla. Aldilà della cronaca e della terribile contabilità delle vittime, dei rifugiati, delle città bombardate e distrutte, per comprendere le dinamiche profonde che hanno portato all’escalation del conflitto è essenziale conoscere la storia recente dell’Ucraina.



A partire dal complesso rapporto di questa martoriata terra prima con l’Impero russo, poi con l’Unione Sovietica e l’attuale Federazione Russa. Simone Attilio Bellezza, ricercatore di storia contemporanea nel Dipartimento di Scienze sociali dell’Università di Napoli Federico II, esperto di appartenenze nazionali, nel saggio appena pubblicato Il destino dell’Ucraina. Il futuro dell’Europa (edito da Scholé) racconta in modo ampio e ben documentato l’evoluzione storica dell’Ucraina post sovietica, tenendo presente il continuo cambiamento degli equilibri geopolitici.



Professore, come siamo arrivati alla tragica situazione attuale? 

L’incompiuta Rivoluzione arancione del 2004 e la cosiddetta Rivoluzione della Dignità del 2013 hanno avvicinato l’Ucraina all’Occidente, favorendo l’avvio di un percorso di democratizzazione ed europeizzazione che di fatto ha aperto una crisi profonda con la Russia, con riflessi sia interni che internazionali. L’allontanamento dal polo di attrazione russo e l’avvicinamento progressivo alla sfera di influenza occidentale hanno portato a uno scontro inevitabile e spinto Putin a cercare di riconquistare il terreno perduto con mezzi sempre più violenti, fino ad arrivare all’ingiustificato ed efferato atto di aggressione di questi giorni.



Mosca ha dichiarato di doversi difendere dall’accerchiamento in cui la Nato la vuol stringere puntando a far entrare anche Kyiv nell’Alleanza atlantica.

Secondo la Russia gli Stati Uniti avrebbero promesso a suo tempo a Gorbačëv che la Nato non si sarebbe mai allargata ad Est se l’allora segretario del Pcus avesse acconsentito alla riunificazione tedesca. Per questo Putin denuncia oggi come un palese tradimento che siano entrati nell’Alleanza atlantica quasi tutti i Paesi dell’Europa centro-orientale ed esige la chiusura delle basi militari. Ma dimentica che quello fu soltanto un accordo verbale mai formalizzato e quindi non vincolante, e soprattutto che a lungo quegli stessi Stati (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Slovenia, poi anche Croazia e Albania, ndr), finalmente indipendenti e sottratti al controllo sovietico, ambivano ad entrare nella Nato avendone piena legittimità politica. La Russia stessa all’epoca avviò programmi di collaborazione con la Nato, con cui era in ottimi rapporti, mirati, se non a un ingresso, almeno a un’associazione con il Patto Atlantico.

Russi e ucraini sono due popoli così diversi, al punto di odiarsi? 

No. Almeno fino agli anni Novanta l’Ucraina era molto simile alla Russia, socialmente e culturalmente. Una parte consistente della popolazione ucraina è di madrelingua russa. Nelle campagne la popolazione è prevalentemente ucrainofona mentre è russofona nelle città, anche se è molto diffuso il bilinguismo. Con l’indipendenza viene concessa a tutti la cittadinanza ucraina, anche a russi e russofoni, a differenza di quanto avvenuto in Lettonia. Ma dal 2001 gli ucraini imboccano con sempre maggior decisione un percorso di riforme e rivoluzioni politiche che li differenzia dai russi, nella speranza di poter finalmente entrare in Europa. Il distacco definitivo avviene con la rivoluzione dell’Euromajdan, o Rivoluzione della Dignità: l’esito di questa frattura è il conflitto a bassa intensità nelle regioni orientali, dove uno scontro delle realtà locali con la capitale viene sfruttato da Putin per infiltrare le sue forze militari e innescare una guerra ibrida che avrebbe dovuto destabilizzare il nuovo corso politico, di segno nazionalista, che si era affermato a Kyiv. In quel periodo Mosca occupa e annette anche la Crimea, alimentando così il sentimento popolare antirusso.

Cosa è successo negli ultimi otto anni? Dove ha sbagliato l’Occidente?

Il passare del tempo e il succedersi di vari presidenti eletti democraticamente hanno dimostrato che l’avvicinamento all’Europa non era una sbandata ma una vera e propria scelta di campo. E l’intervento russo nelle regioni di Donec’k e Luhans’k anziché indebolire ha rafforzato il senso di comunità e appartenenza nazionale degli ucraini. L’Occidente ha sbagliato ad accettare l’annessione della Crimea e le infiltrazioni nel Donbas, lasciando che una situazione così delicata rimanesse aperta e mostrandosi debole, vulnerabile agli occhi di Putin, che ha pensato così di approfittarne. I primi due mandati presidenziali del “nuovo zar” sono da considerare apprezzabili, al punto di godere di largo credito a livello internazionale, poi ha prevalso una deriva autoritaria, con un peso crescente assegnato alle forze armate, che l’ha fatto sempre più assomigliare a uno spietato dittatore.

Come uscire da questa terribile situazione? Un conflitto interno a un Paese, l’Ucraina, è diventato un conflitto internazionale combattuto con le armi, ma non solo.

Non sarà facile. Gli ucraini oppongono resistenza. Non vogliono arrendersi e intendono combattere fino alla morte. Gli armamenti che stiamo loro inviando saranno probabilmente utilizzati dalle forze di difesa territoriale, una milizia su base volontaria costituita da 300mila civili pronti a tutto pur di salvare la loro patria dalle grinfie dell’invasore. C’è il rischio concreto di una prolungata guerra partigiana, come in Afghanistan o in Cecenia, supportata dalla Nato: sarà un bagno di sangue. Certo, non possiamo non aiutare l’Ucraina ed è giusto schierarci al suo fianco, fornendo ciò che serve per difendersi. Per essere presi sul serio da un politico violento come Putin, dobbiamo mostrare forza e determinazione. Ma il fine della nostra azione non può consistere nell’organizzare o sostenere una sorta di guerriglia. Per avviare un dialogo è necessario ripensare la politica energetica europea includendo la Russia. Ovviamente nel mentre dobbiamo aiutare il popolo ucraino anche sul piano della solidarietà e dell’accoglienza dei profughi, cosa che sta già avvenendo.

Qual è l’obiettivo di Putin? Avrà successo un’azione diplomatica?

Il capo del Cremlino vuole umiliare l’Ucraina, dimostrare che è un Paese fallito e pertanto uno smacco per l’Occidente. È indubbio che Kyiv in questo momento rappresenti un baluardo dei valori democratici e civili dell’Europa contro l’avanzare di un regime autoritario che si sta mostrando sempre più dispotico, anche al proprio interno. Il potere di Putin non è solidissimo, ma è difficile che cada, almeno nell’immediato; il dissenso interno può contribuire a favorire qualche cambiamento, ma non di più. Perciò l’auspicio è che si trovi presto un accordo equo, una ricomposizione pacifica del conflitto, ma ci sarà bisogno di negoziatori abili.

(Vincenzo Sansonetti) 

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