Mancava poco all’accordo per la navigazione mercantile del Mar Nero. Ma poi tutto è saltato all’ultimo minuto, prima che Erdogan lo annunciasse in prossimità delle recenti elezioni amministrative in Turchia. Eppure, da quella mancata intesa può venire un segnale di speranza o almeno la consapevolezza che gli sforzi diplomatici per cercare di realizzare la pace in Ucraina continuano. Proprio Ankara è protagonista di questi tentativi: l’accordo sul Mar Nero poteva essere la base per cercare una convergenza più ampia sulla fine del conflitto ucraino. Il piano Erdogan, che riprende le tesi del negoziato del 2022 a Istanbul, prevederebbe l’impegno di Russia e USA a rinnovare il Trattato sulle armi strategiche, un’Ucraina neutrale fino al 2040 quando si terrà un referendum sulla politica estera e i territori occupati dai russi, il sì di Mosca a Kiev nell’UE.



Il primo a non voler trattare sul Mar Nero, però, osserva Valeria Giannotta, direttore scientifico dell’Osservatorio Turchia del CeSPI, è proprio Zelensky, che è stato in visita da Erdogan all’inizio di marzo. Anche la conferenza di pace che si svolgerà in Svizzera, a Burgenstock, il 15-16 giugno, alla quale però la Russia non parteciperà, potrebbe contribuire ad aprire le trattative, presentando un documento da sottoporre ai russi per poi iniziare a discutere in un forum internazionale convocato per l’occasione. Qui anche la Cina e Xi Jinping potrebbero giocare un ruolo.



Intanto Erdogan continua la sua opera di mediazione: il 16 maggio incontrerà Biden, mentre aspetta di essere definito anche un incontro con Putin. La Russia, però, per il momento, sarebbe più impegnata a conquistare altri territori: di trattative potrebbe parlare più avanti se e quando avrà raggiunto questi obiettivi.

Russia e Ucraina, con la mediazione turca, erano sul punto di accordarsi per la navigazione mercantile sul Mar Nero, ma poi non se ne è fatto niente. Com’è andata la trattativa? Ci sono ancora speranze che vada in porto?

Il piano è naufragato il giorno prima delle elezioni amministrative in Turchia. Erdogan voleva sfruttarlo a fini politici. Sui media turchi sono usciti solo un paio di articoli negli ultimi giorni. Zelensky ne aveva parlato ad Ankara, ma aveva concluso solo accordi bilaterali con i turchi, mentre aveva dato segnali negativi sulla ripresa delle trattative. Il dialogo, comunque, era sul tavolo e questa circostanza va letta anche come una ripresa nei rapporti tra Turchia e Washington, dove è stato nominato un nuovo ambasciatore turco, un diplomatico di carriera e non un esponente del partito di Erdogan come succedeva prima.



Che ruolo sta giocando concretamente la Turchia in questo intreccio diplomatico?

Per capirlo bisogna ricordare che il segretario di Stato USA Anthony Blinken si è recato in Turchia diverse volte, come altri rappresentanti americani, anche per preparare la visita di Stato, il 16 maggio, di Erdogan a Washington, dove andrà per incontrare ufficialmente Biden.

Il piano per il Mar Nero di Erdogan ha a che fare anche con gli USA?

È un piano che nasce all’interno di un’ottica multilaterale e l’obiettivo è la ripresa del commercio del grano. Già con il primo accordo per l’istituzione del corridoio del grano l’esperimento della Turchia è stato riconosciuto a livello internazionale: l’ONU aveva aperto un ufficio in Turchia per gestire questo corridoio. Non è un piano né americano, né russo. Erdogan, comunque, anche nelle ultime ore ha fatto riferimento alla visita di Putin in Turchia, annunciata e poi rinviata, ma che dovrebbe tenersi.

Il piano per il Mar Nero è legato anche a un’ipotesi di pace per l’Ucraina?

La Turchia voleva partire dal corridoio del grano per riprendere i negoziati a Istanbul, argomento affrontato con Zelensky ma che il presidente ucraino ha lasciato cadere, opponendosi prima di tutto all’intesa sul Mar Nero.

Chi non vuole i negoziati alla fine è Kiev?

Ho la sensazione che l’Ucraina si senta un po’ mollata da tutti e non possa fare altro che alzare la posta in gioco.

Nel piano di pace turco ci sarebbe il congelamento della situazione sul campo, l’Ucraina neutrale fino al 2040 e l’entrata di Kiev nell’UE. Sono basi solide per accordarsi?

Da parte turca i dettagli non ci sono, io credo che comunque questa sia l’unica soluzione: concedere alla Russia ciò che vuole e cercare di uscire il più possibile integri dal conflitto. La stampa turca, comunque, dà conto dei continui contatti di Erdogan con Zelensky e Putin. Le ipotesi che sono state scartate restano sempre sul tavolo, il tentativo di dialogo in realtà non si è mai interrotto.

In Turchia viene presa in considerazione la conferenza di pace con Zelensky che dovrebbe svolgersi in Svizzera a giugno?

Su questo punto non è trapelato niente a livello mediatico, ma la diplomazia turca lavora molto in segreto, in modo molto riservato: si ha notizia della partecipazione a eventi di Erdogan o di altri rappresentanti governativi solo il giorno prima. La stampa turca ora è molto più impegnata ad occuparsi della crisi mediorientale.

Erdogan sul tema della pace ha cercato anche di avere come interlocutore il Papa, inviandogli una lettera con l’invito a un’azione comune per far finire le guerre. Come possiamo leggere questa iniziativa?

Erdogan si è fatto carico della situazione umanitaria a Gaza, raccoglie aiuti e accoglie palestinesi che devono essere curati. È uno dei motivi della sua sconfitta elettorale: lo hanno accusato di muoversi in questa direzione senza prendere provvedimenti veri contro Israele, tanto è vero che poi ha messo l’embargo su determinati prodotti, chiudendo tutti i voli verso Tel Aviv della Turkish Airlines. Tra Turchia e Santa Sede ci sono rapporti storici e l’appello alla pace di Erdogan riguarda tutte le guerre, anche l’Ucraina, ma in particolare quella di Gaza con la sua crisi umanitaria, i bambini che muoiono di fame. Il presidente turco da quando è al potere si è auto-investito del compito di essere paladino degli oppressi, da quando a Davos nel 2009 si è alzato e se n’è andato proprio per il suo dissenso sulla questione palestinese. La sinergia con il Vaticano riguarda l’aspetto umanitario.

(Paolo Rossetti)

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