Sul Corriere della Sera di martedì 3 gennaio è apparso un articolo (“Padre Mercedes” e gli altri. Caccia alle spie fra gli ortodossi, p. 8) che parla dei problemi che la guerra in Ucraina ha aperto nella Chiesa ortodossa. L’idea di informare il pubblico italiano della cosa è stata ottima, ma la situazione è molto più complessa di quanto è riferito.
Innanzitutto occorre precisare che quella che nell’articolo è definita filo-russa non è altro che la Chiesa ortodossa che fa riferimento al Patriarcato di Mosca. Non solo in Ucraina, ma anche in tanti altri Paesi dell’ex Unione Sovietica è presente questa Chiesa russo-ortodossa che pretende di considerare tutti questi territori, a prescindere dallo Stato a cui appartengono, territorio legato canonicamente al Patriarcato moscovita. E qui bisogna saper distinguere l’appartenenza politica da quella canonica. Tanto per intenderci, possiamo fare l’esempio di milioni di persone che sono membri dell’unica Chiesa cattolica (che vuol dire “universale”) ma che sono cittadini di diversi Stati.
Oggi ci sono molti ecclesiastici ortodossi ucraini che non sono affatto filo-russi, ma che, pur criticando le posizioni del Patriarca Kirill, non possono negare il loro legame con il Patriarcato. È come al tempo di alcuni Papi immorali del Rinascimento che suscitarono l’indignazione di molti fedeli, anche di santi, ma non per questo essi vollero uscire dalla Chiesa cattolica. Come invece fecero alcuni cosiddetti riformatori, i quali però non si limitarono a criticare l’immoralità degli ecclesiastici, ma arrivarono a mettere in discussione aspetti essenziali della vita della Chiesa.
Non a caso nella Metropolia di Kiev oggi nelle celebrazioni eucaristiche non si ricorda più il nome del Patriarca, come noi ricordiamo quello del Papa.
Questo non ha nulla a che fare con la Chiesa cosiddetta “autocefala”, che da tempo si è voluta staccare canonicamente dal Patriarcato di Mosca e che, al di là di qualche serio dubbio sulla sua legittimità ecclesiale, non ha fatto che continuare l’intenzione di creare chiese nazionali, naturalmente destinate ad essere condizionate dal potere di turno. Come dimostra quello che sta succedendo a Mosca.
In questo senso una certa tendenza dell’attuale governo ucraino a riportare sotto il proprio controllo le Chiese e, quindi, anche la vita religiosa del popolo, non può non essere preoccupante. È legittimo che l’autorità giudiziaria verifichi se ci sono stati casi di spionaggio anche tra gli ecclesiastici, ma l’appartenere, magari criticandolo, al Patriarcato di Mosca non è una questione di competenza dello Stato.
Un Presidente della Repubblica che si considerasse “Pontifex maximus” della Nazione violerebbe il principio della giusta laicità dello Stato che nei Paesi civili è questione acquisita.
Certo l’attuale situazione pone alla Chiesa ortodossa anche questioni di riforma interna, e non solo nel campo liturgico. Come mi ha detto la settimana scorsa un parroco ortodosso: “Anche noi ora avremmo bisogno di un Concilio Ecumenico”.
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