L’invasione dell’Ucraina è il frutto della decisione di Putin di ricreare un’area di influenza russa. Un progetto che ha evidenti conseguenze geo-economiche. Le sanzioni economiche, paradossalmente, possono accelerare questo progetto e compiere definitivamente il processo che su scala regionale si invera nel raggiungimento della piena autarchia dell’economia russa e su scala globale sulla de-dollarizzazione.



Una dinamica che si può concludere in una definitiva riconfigurazione della globalizzazione. Inoltre, gli effetti dell’eventuale default dell’economia potrebbero avere conseguenze gravi per le banche più esposte in Russia. Uno scenario in cui se nel breve periodo le sanzioni non riuscissero a innescare l’auspicabile crisi del regime putiniano, nel medio e lungo periodo potrebbero avere effetti imprevedibili e non auspicati.



C’è una contraddizione di fondo nell’atteggiamento dei paesi occidentali, i quali  mentre impongono sanzioni in nome dei principi liberal-democratici e di un ordine globale a guida americana, dall’altro avviano quel processo che mette in crisi le fondamenta stesse di un sistema che si basava sulla libera circolazione di merci e capitali. L’invasione dell’Ucraina ha ormai prodotto una crepa insanabile nel mondo piatto di cui parlava Thomas Friedman, basato sulla esternalizzazione, delocalizzazione e integrazione finanziaria, portando a compimento la polarizzazione dell’economia globale sui centri cinesi e americani.



In ottica globale, la guerra in corso è un corollario della competizione sino-americana che scarica le sue tensioni su scenari periferici. Medio oriente prima – ma attenzione alle conseguenze della corsa al nucleare dell’Iran – e Europa dell’Est adesso. La retorica dell’Europa ricompattata, a cui addirittura si sarebbe aggiunta la Svizzera, punta a far dimenticare le incertezze della diplomazia europea che nella missione del febbraio 2021 di Borrell a Mosca vide il fallimento del progetto che puntava alla creazione di uno spazio economico comune da Lisbona a Vladivostok. Una visione strategica che aveva nel gasdotto North Stream 2 uno dei suoi perni.

In una situazione ricca di contraddizioni, la posizione dell’Unione Europea risulta essere la più difficile. Accodandosi alle sanzioni volute da Washington, la diplomazia europea rischia di non prendere atto che lo scenario globale è radicalmente mutato. In un nuovo ordine basato sulla diarchia conflittuale sino-americana e non su un equilibrio multipolare, l’Unione Europea risulta essere la vera vittima del combinato disposto costituito dall’avventurismo tardo-imperiale di Putin, dalle sanzioni economiche e dalla polarizzazione della globalizzazione, venendo condannata a giocare il ruolo di junior partner degli Stati Uniti nelle stesse forme in cui la Russia sta divenendo subalterna alla Cina. Del resto la tempistica dell’escalation che è sfociata nell’invasione dell’Ucraina, fa supporre che la Russia si sia mossa solo dopo l’assenso di Xi Jinping dato durante le Olimpiadi invernali di Pechino.

Le tensioni geopolitiche che la pandemia aveva fatto emergere hanno trovato nel conflitto in atto la loro prima risoluzione, contrapponendo Russia e Unione Europea, che sono i soggetti che più  hanno pagano le conseguenze delle  guerre commerciali e l’interruzione della catena del valore globale, fenomeni che la guerra in Ucraina ha reso ancora più drammatici. Il decoupling fra l’economia Usa e quella cinese è entrato nella fase più calda e sta assumendo le forme di una polarizzazione fra un’area euro-atlantica ed una asiatica. Il probabile default russo e la sterilizzazione delle sue riserve in dollari faranno fluire dalla Russia grandi quantità di dollari verso la Cina, che in questo modo rafforzerà le sue riserve strategiche.

In definitiva le sanzioni compiono definitivamente il decoupling, che dopo l’economia reale adesso investe anche quello finanziario. La capacità senza eguali degli Stati Uniti di mettere in atto una guerra economica e di usare le sanzioni ha sicuramente spaventato il governo cinese, il quale probabilmente cercherà di ridurre ancora di più i suoi rapporti con l’economia americana. Un processo che non sarà indolore e che secondo Nouriel Rubini porterà le economie dei paesi occidentali verso uno shock deflazionistico, che rappresenta uno “scenario da incubo” per le Banche centrali e quindi la fine di ogni illusione legata alla speranza di poter risolvere problemi sistemici con politiche monetarie ultra-espansive, gettando le basi per una correzione strutturale del mercato.

Verrebbe da chiedersi cosa succederebbe se Putin decidesse di infliggere danni asimmetrici alle economie  dei Paesi occidentali  diminuendo drasticamente la produzione  del petrolio e quindi causandone l’aumento  del prezzo. Probabilmente assisteremo a una riedizione delle crisi petrolifere degli anni 70 del Novecento, con tanto di inflazione fuori controllo e strumenti  monetari per stimolare la crescita ormai inutilizzabili. A riguardo, il contribuito di  Thomas Piketty al dibattito sulle sanzioni è stato interessante, proponendo la creazione di un catasto finanziario  internazionale con cui tracciare finalmente i flussi finanziari che renderebbe  le misure più focalizzate e quindi in grado di colpire in modo mirato gli oligarchi più vicini a Putin. Uno strumento che, purtroppo,  risulta essere inattuabile, perché andrebbe a colpire la libera circolazione dei capitali e quindi  l’ultimo simulacro della globalizzazione.

Quello che, però, non dice l’economista francese è  che probabilmente sarà il processo innescato dalle sanzioni e dalla guerra finanziaria che renderà il mondo meno interconnesso e interdipendente; cosa che inevitabilmente, nel medio e lungo periodo, oltre ai danni inflitti alle società aperte e del libero mercato avvantaggerà i sistemi chiusi e autoritari con tendenze autarchiche.

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