L’aggravarsi della guerra in Ucraina e lo stallo delle diplomazie sta rendendo sempre più difficile immaginare il futuro del nostro Paese, su cui gravano i rischi di una crisi energetica che minaccia di intaccare l’economia e il benessere delle famiglie. Se oggi si cerca di far fronte alla situazione con interventi puntuali di ristoro – non certo di ampia portata o risolutivi – e la ricerca di fonti energetiche alternative al gas russo, che però non offrono risposte a breve, è pur vero che occorre guardare un po’ più lontano e prepararsi al peggio.
Come ci si va attrezzando alle nuove emergenze? Su questo fronte gli scenari sono tutt’altro che rassicuranti, a partire dall’ipotesi di estensione dello stato di emergenza, venuto meno il 31 marzo scorso. Infatti, pur essendosi attenuate le misure anti Covid, la percezione di una situazione drammatica persiste nel sentimento dei cittadini e, con essa, lo spettro di un ritorno all’emergenza. Meglio mantenere una base di razionalità per valutare lo stato dei fatti, perché la paura non è mai una buona consigliera e può indurre a giustificare molto, quasi inavvertitamente.
Prove generali di questo ritorno al passato sono presenti nelle pieghe dei più recenti provvedimenti del governo, tra cui spicca l’art. 10 bis del decreto legge n. 52/2021, come modificato dal decreto legge n. 24/2022 (art. 3), che disciplina il potere di ordinanza del ministro della Salute in materia di accessi nel territorio nazionale e per l’adozione di linee guida e protocolli connessi alla pandemia Covid.
Questo provvedimento prevede, fino al 31 dicembre 2022, e in assenza della dichiarazione dello stato di emergenza, non solo – con ordinanza del ministro – l’adozione e l’aggiornamento delle linee guida per regolare lo svolgimento in sicurezza dei servizi e delle attività economiche, produttive e sociali, ma anche l’introduzione di limitazioni agli spostamenti da e per l’estero, nonché l’imposizione di misure sanitarie in dipendenza dei medesimi spostamenti.
Ciò significa che, benché lo stato di emergenza sia cessato, la regolamentazione resta sostanzialmente la stessa, una sorta di prolungamento di poteri di emergenza ma senza relativa dichiarazione formale tramite atto legislativo.
Come se non bastasse, si va vociferando di ulteriori azioni, apparentemente preventive, ma di ben altro portata, quali una nuova manovra finanziaria da anticiparsi a prima dell’estate o – cosa ancora più drammatica – il prolungamento della legislatura, espressamente vietato dalla Costituzione che, all’art. 60, prevede che ciò possa avvenire solo per legge e soltanto in caso di guerra; stato di guerra che, a sua volta, deve essere deliberato dalle Camere (e solo da esse) le quali conferiscono al Governo i poteri necessari (tra cui – ad esempio – la sospensione di alcuni diritti). La dichiarazione dello Stato di guerra, poi, spetta allo Capo dello Stato.
Come si vede, la Costituzione è molto precisa sul tema e non lascia spazi vuoti, da riempire con interpretazioni più o meno fantasiose, mentre ben sappiamo – per essere stato ribadito dalla Corte costituzionale e dalla più attenta dottrina, dopo oltre due anni di pandemia – che il venir meno delle garanzie dello stato di diritto non può essere che provvisorio e deve essere ampiamente e ragionevolmente giustificato.
Certe fughe in avanti, dunque, non sono nemmeno ipotizzabili. Stupisce persino che se ne parli, apparentemente a cuor leggero e senza il minimo cenno di stigmatizzazione.
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