Il 2022 è iniziato con il precipitare della guerra nel Donbass tra governo ucraino e separatisti filorussi, in atto ormai da otto anni, in uno scontro diretto tra Ucraina e Russia. Una guerra al centro dell’Europa che ha messo sotto traccia le altre numerose guerre che si combattono in altri continenti. Il 2023 si è aperto con la continuazione dell’assurda guerra in Ucraina, senza che appaiano all’orizzonte possibilità concrete almeno per un cessate il fuoco. In aggiunta, si profila la minaccia di una ripresa dei conflitti nei Balcani, dove la controversia tra Serbia e Kosovo rischia di precipitare in una vera e propria guerra.



Per quanto concerne l’Ucraina, non vi è alcun dubbio sulla responsabilità di Putin nell’aver scatenato la guerra, tra l’altro con un tragico errore di valutazione sulla facile riuscita della “operazione speciale”. Cosa che sorprende, perché Putin sarà anche un dittatore, ma non sembrerebbe malaccorto, e si è infatti parlato di un errore dell’intelligence russa, che avrebbe ipotizzato una rapida caduta del governo e una calorosa accoglienza della popolazione ucraina. E si può anche pensare a un’abile azione di disinformazia di qualche altro servizio segreto. Le cose sono andate comunque in modo ben diverso e questa tragica e inutile guerra continuerà portando morte e distruzione in Ucraina e gravi crisi principalmente in Europa.



Ho definito questa guerra inutile perché poteva essere evitata, o quanto meno si poteva tentare, principalmente attuando gli accordi Minsk 2 del 2015, ponendo fine alla guerra iniziata nel 2014 nel Donbass. Il riconoscimento costituzionale dell’autonomia del Donbass avrebbe mantenuto questi territori all’interno dell’Ucraina, che avrebbe potuto assumere un importante ruolo geopolitico nello scenario europeo. Ucraina significa “terra di confine” e poteva diventare un luogo di incontro invece che di scontro, come purtroppo spesso accaduto nella sua storia. Di quegli accordi non si parla più e le divisioni all’interno dell’Ucraina sono diventate sempre più nette.



La vicenda del Kosovo appare per molti versi simmetrica a quella del Donbass. Se in Ucraina il problema era posto dalla minoranza di lingua russa, per la Serbia era posto dalla minoranza albanese. Diverse però le reazioni. Il governo ucraino ha agito militarmente contro i separatisti russi del Donbass, con il tacito appoggio dell’Occidente. Il governo serbo ha agito con violenza contro i separatisti albanesi in Kosovo, ma Washington e Nato sono intervenuti nel 1999 bombardando la Serbia per due mesi consecutivi. Il risultato è stato la separazione dalla Serbia del Kosovo, posto sotto tutela delle Nazioni Unite e della Nato, con la dichiarazione unilaterale di indipendenza proclamata nel 2008. La Repubblica del Kosovo è riconosciuta da circa metà degli Stati membri dell’Onu, tra cui l’Italia, ma non dalla Serbia e dalla Russia, i cui rapporti con la Serbia sono stretti, anche da un punto di vista storico. A suo tempo, Mosca sottolineò come situazioni simili a quella del Kosovo esistevano nel Caucaso, per esempio nei confronti della Georgia.

Il timore di favorire separatismi in casa propria è presente anche nelle obiezioni poste dall’India, con la questione del Kashmir, o dalle Filippine, preoccupata dalla minaccia separatista musulmana a Mindanao. All’interno dell’Ue vi è stato il rifiuto al riconoscimento da parte della Spagna, per non favorire il separatismo catalano, della Romania, per le richieste della minoranza ungherese in Transilvania, preoccupazione condivisa dalla Slovacchia (e problema anche per l’Ucraina), e di Cipro, che contesta la autoproclamata Repubblica Turca di Cipro Nord. Anche la Cina si è opposta al riconoscimento.

Il Kosovo è tuttora presidiato da forze Nato, con una notevole presenza italiana, ma ciò non ha impedito che le mafie, di qualsiasi etnia, siano il vero potere, e Hashim Thaci, già presidente del Kosovo, è sotto processo presso il tribunale speciale dell’Aia per crimini di guerra. Una situazione ben descritta sul Sussidiario da Paolo Raffone, che ha operato in quei Paesi come funzionario dell’Onu e dell’Osce. La presenza della Nato e delle altre istituzioni internazionali non è servita neppure a pacificare la regione e a risolvere il conflitto con la minoranza serba rimasta in Kosovo. Ancora una volta, come per il Donbass, non si è voluto affrontare il problema delle minoranze. Nel caso del Kosovo si è difeso con la guerra il diritto della minoranza albanese contro le prevaricazioni della maggioranza serba, ma non si è fatto nulla per impedire le violenze kosovare contro la minoranza serba, come la distruzione sistematica di chiese e monasteri.

Kosovo e Donbass: due vicende che mostrano come le guerre potrebbero essere evitate, o per lo meno si potrebbe cercare di evitarle. Per farlo, però, occorre volerlo, cosa che non sembra così ovvia.

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