La minaccia nucleare da parte russa di fronte alle disfatte quotidiane del suo esercito in Ucraina indica che, in questa guerra, si è arrivati al punto critico. Il punto critico è il punto di non ritorno oltre il quale c’è solo l’apocalisse. I governi europei, solerti nelle sanzioni e nell’inviare armi, sono rimasti silenti, in questi mesi, nel proporre un’ipotesi di negoziato. I tentativi di Francia, Germania, Italia, nelle prime fasi del conflitto di aprire un canale con Mosca sono naufragati di fronte all’arroganza russa, certa di portare a termine la sua conquista in poco tempo, e di fronte all’intransigenza anglo-americana.



Ora lo scenario è diverso. Non solo Mosca è alle corde ed ha disperatamente bisogno di un qualche risultato per salvare la faccia, ma anche l’America ha dimostrato, in più occasioni, di temere la radicalizzazione del conflitto. Ne è riprova la rivelazione del New York Times per cui dietro all’uccisione di Daria Dugina, figlia dell’ideologo Dugin, considerato una delle fonti di ispirazione per l’imperialismo putiniano, ci sarebbero “parti del governo ucraino”. Come scrive Paolo Mastrolilli su Repubblica:



“Gli Usa, secondo la ricostruzione del giornale, non hanno collaborato con l’operazione, non ne erano informati, se l’avessero saputa si sarebbero opposti, e dopo hanno protestato con Kiev perché la considerano un’escalation inutile, che potrebbe spingere Mosca a compiere rappresaglie analoghe. Resta da capire il motivo per cui l’informazione sia trapelata proprio adesso, ma è probabile che la ragione sia legata al momento molto critico della guerra, che da una parte sta aprendo la strada al successo dell’Ucraina, possibilmente con l’invio di armi ancora più potenti, ma dall’altra espone al rischio di reazioni sconsiderate del Cremlino come la minaccia di usare le atomiche (“L’intelligence americana ‘Era ucraina l’autobomba che uccise Darya Dugina’”, 6 ottobre 2022).



Washington è chiaramente preoccupata e, come scrive Mastrolilli, “vuole richiamare Kiev alla responsabilità necessaria per evitare la Terza guerra mondiale”. Una responsabilità che il presidente Zelensky pare non avere, come dimostra sia il decreto da lui firmato, per cui non è possibile negoziare con l’attuale capo del Cremlino, sia la sua richiesta di entrare nella Nato. Zelensky punta all’allargamento del conflitto coinvolgendo gli Usa e l’Europa. Punta alla terza guerra mondiale. Per questo il necessario sostegno all’Ucraina, da parte dell’Occidente, deve essere accompagnato dalla mano ferma che “trattiene” i propositi guerrieri del solerte presidente ucraino. Quello che è certo è che la minaccia atomica, da parte della Russia, apre uno scenario inedito, chiude l’era della deterrenza nucleare, che ha regolato i rapporti tra le superpotenze dal 1945 ad oggi, e ne apre un’altra oscura ed inquietante. La guerra tra Russia ed Ucraina non è solo una guerra locale, è già una guerra mondiale. Ne ha parlato il Papa nel suo colloquio con i gesuiti in Kazakistan il 15 settembre:

“Non si può essere semplicisti nel ragionare sulle cause del conflitto. Io vedo imperialismi in conflitto. E, quando si sentono minacciati e in decadenza, gli imperialismi reagiscono pensando che la soluzione sia scatenare una guerra per rifarsi, e anche per vendere e provare le armi. Qualcuno dice, ad esempio, che la guerra civile spagnola è stata fatta per preparare la Seconda guerra mondiale. Non so se sia davvero così, ma potrebbe esserlo. Non dubito, però, che stiamo già vivendo la Terza guerra mondiale. In un secolo ne abbiamo viste tre: una tra il 1914 e il 1918, una tra il 1939 e il 1945, e adesso viviamo questa”.

Si tratta di una lettura realistica ripresa da Eugenio Mazzarella in un articolo apparso su Avvenire (“Il Papa e l’aggravarsi della guerra. Insostenibile escalation” 30 settembre 2022). Per Mazzarella

“Ha ragione il Papa. Su tutta la linea. È inutile mettere davanti le colpe dello scatenamento della nuova e terribile fase della guerra in Ucraina e della sua conduzione, che sono pressoché tutte in capo alla Russia, per evitare un discorso franco sulle cause, molto più distribuite del contesto geopolitico internazionale, di questa esplosione dell’escalation sempre più manifesta. Esse sono in capo a entrambi gli imperialismi in conflitto, quello russo da un lato, e quello occidentale dall’altro. E hanno una radice ‘esistenziale’, cioè di interessi incomprimibili alla propria sicurezza per cui, da entrambe le parti, ci si sta dimostrando disposti a correre ogni rischio. Questo è il punto tragico e dirimente. Non c’è solo l’imperialismo russo che si sente minacciato e in decadenza, cioè avviato a quel declassamento a potenza regionale perseguito da alcune cancellerie occidentali. C’è in ballo anche l’insicurezza – la minaccia di decadenza dell’imperialismo occidentale a guida anglo-americana per la graduale perdita della leadership politico-economica di un mondo globalizzato dove avanzano altre candidature alla testa del supermercato globale che ormai è il pianeta, la Cina innanzi tutto e la sua proiezione attrattiva, in antitesi all’area del dollaro, nel grande spazio del Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica)”.

In questa lotta tra titani il mondo rischia di deflagrare, di esplodere e l’Ucraina funziona da detonatore. La dialettica tra putiniani ed antiputiniani è, da questo punto di vista, perfettamente funzionale al gioco delle parti. In questo ribollire di passioni il Papa ha rappresentato in questi mesi la voce della ragione. Ha indicato chiaramente le responsabilità, quella scellerata di Putin in primis, ma ha evitato di cadere nella trappola manichea che divide il mondo tra la luce e le tenebre. Se si vuol porre fine al conflitto si deve arrivare ad un compromesso e per arrivare al compromesso si deve parlare anche con il diavolo. Un compromesso onorevole, ovviamente, che non indica una svendita da parte del più debole. In questo momento la parte debole sembra essere, paradossalmente, quella dell’invasore, umiliato sul campo di una guerra che non riesce a vincere. Mosca è però una potenza nucleare e questo fa la differenza. Una potenza che nel suo manovratore, al Cremlino, rischia di perdere il controllo. La minaccia nucleare non è solo un bluff, come ci avvertono da Washington. Questa guerra ha raggiunto il suo punto critico. Per questo è l’ora del negoziato. Il Papa lo ha detto con grande forza nel suo Angelus di domenica 2 ottobre.

“Deploro vivamente la grave situazione creatasi negli ultimi giorni, con ulteriori azioni contrarie ai principi del diritto internazionale. Essa, infatti, aumenta il rischio di un’escalation  nucleare, fino a far temere conseguenze incontrollabili e catastrofiche a livello mondiale. Il mio appello si rivolge innanzitutto al Presidente della Federazione Russa, supplicandolo di fermare, anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza e di morte. D’altra parte, addolorato per l’immane sofferenza della popolazione ucraina a seguito dell’aggressione subita, dirigo un altrettanto fiducioso appello al Presidente dell’Ucraina ad essere aperto a serie proposte di pace. A tutti i protagonisti della vita internazionale e ai responsabili politici delle Nazioni chiedo con insistenza di fare tutto quello che è nelle loro possibilità per porre fine alla guerra in corso, senza lasciarsi coinvolgere in pericolose  escalation, e per promuovere e sostenere iniziative di dialogo. Per favore, facciamo respirare alle giovani generazioni l’aria sana della pace, non quella inquinata della guerra, che è una pazzia! Dopo sette mesi di ostilità, si faccia ricorso a tutti gli strumenti diplomatici, anche quelli finora eventualmente non utilizzati, per far finire questa immane tragedia. La guerra in sé stessa è un errore e un orrore!”

Queste parole, accorate e vibranti del Papa, hanno avuto una eco potente. Sono riecheggiate ad Assisi, per la festività di san Francesco, nei discorsi del cardinale Zuppi e del presidente Mattarella. Per Zuppi: “Con San Francesco crediamo che il lupo terribile della guerra sia addomesticato e facciamo nostro l’accorato  appello di Papa Francesco indirizzato certo ai due presidenti coinvolti direttamente – un aggressore e un aggredito – ma anche a quanti possono aiutare a trovare la via del dialogo e le garanzie di una pace giusta”. Da parte sua Mattarella ha detto: “Non ci arrendiamo alla logica di guerra che consuma la ragione e la vita delle persone e spinge a intollerabili crescendo di morti e devastazioni. Che sta rendendo il mondo più povero e rischia di avviarlo verso la distruzione. E allora la richiesta di abbandonare la prepotenza che ha scatenato la guerra. E allora il dialogo. Per interrompere questa spirale”. Come ha osservato Francesco Peloso sul Domani (“Conte cerca sponde vaticane per fare il partito della pace”, 6 ottobre 2022):

“Il capo dello Stato nei mesi scorsi ha sostenuto una posizione dell’Italia fortemente in linea con quella ufficiale dell’Ue e della Nato, cioè di pieno sostegno alle ragioni dell’Ucraina anche attraverso la fornitura di armamenti. Questa volta, però, ha usato accenti diversi rispetto alla crisi in corso, e non solo perché si trovava nella città di san Francesco… Non è tanto un cambiamento rispetto alla scelta di campo compiuta, quanto piuttosto il segno di una sensibilità che sta mutando rispetto alla fase nella quale il conflitto è entrato”.

L’osservazione di Peloso è corretta: stiamo entrando in una fase in cui la sensibilità verso il conflitto sta cambiando. La guerra è arrivata al suo punto critico e questo richiede l’assunzione di decisioni da parte della comunità internazionale che servano a spegnere e non ad alimentare il fuoco. Finora le danze del tragico conflitto sono state alimentate dai manichei, dell’una e dell’altra parte. La politica, l’apparato economico-militare, i media, hanno retto le fila di questo gioco al massacro. È l’ora di fermarlo nella piena consapevolezza di chi sono gli aggressori e gli aggrediti. Tutti sappiamo le enormi responsabilità di Putin, le sue mani macchiate di sangue, ma questo non può esimere dal tentare di porre fine a questo assurdo conflitto che distrugge la povera Ucraina e rischia di trascinare il mondo nella catastrofe. I cattolici, e non solo loro, devono organizzarsi. Lo hanno fatto nel 2003 durante la disastrosa guerra occidentale contro l’Iraq di Saddam Hussein quando riempirono le piazze in piena sintonia con l’opposizione di Giovanni Paolo II alla guerra. Lo possono e lo debbono fare oggi. È l’ora di un movimento per la pace che faccia sentire le sue ragioni ai governi, agli uomini di Stato, in Italia e in Europa. La voce del Papa non deve restare più sola.

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