Sul Corriere della Sera, con molta onestà intellettuale, Federico Rampini ammette che a suo tempo il sabotaggio del gasdotto North Stream avvenuto nel Baltico per probabile mano ucraina (e supporto tecnologico di chi?) fu a lungo negato da Zelensky e, a questo punto, si chiede quanto ci sia di vero nelle varie e successive dichiarazioni del presidente ucraino e soprattutto quante menzogne corrano dietro agli scenari bellici dove la verità è sempre la prima a morire, spesso rimaneggiata per interessi di parte.



Se poi fosse vero che Biden sapeva tutto e che espresse il suo dissenso all’operazione, ma che poi gli ucraini fecero comunque di testa loro, si aprirebbe allora anche un altro scenario, quello che sta poi alla base delle indagini della Procura tedesca, ovvero quanto sia stato voluto il danno economico che questo attentato causò all’economia tedesca, europea e in definitiva alle tasche di tutti noi.



In un gigantesco gioco di scatole cinesi, oltretutto, crescerebbero allora anche i dubbi – visti i fatti successivi e da ultimo le recenti vicende elettorali USA – su chi effettivamente ci guadagnò con un’Europa allo stremo energetico, ma anche chi comandava e comandi effettivamente alla Casa Bianca, perché l’episodio si inquadrerebbe perfettamente in una gestione “alla cowboy” della politica americana in termini di strategie militari all’estero.

Al di là delle indagini tedesche, ricordiamoci che fonti come il Guardian e molte tv anche nostrane dissero e scrissero che il gasdotto era stato auto-sabotato dai russi, confermando la “notizia” con le solite oscure “fonti dei servizi”.



Tranquilli: una volta di più si cercherà di abbassare i toni e sopire il tutto, perché l’Europa ufficiale avrebbe molta difficoltà a dover ammettere che l’alleato ucraino possa essere mendace, o si aprirebbe uno squarcio dai contorni imprevedibili, acuito da questa offensiva sul suolo russo realizzata di fatto anche con materiale bellico occidentale  che imbarazza le diplomazie, oltre che far crescere l’evidente rabbia del Cremlino foriera di pericolose ritorsioni.

Già era difficile pensare a degli F-16 “pacifisti”; adesso la situazione si complica anche perché, come era prevedibile, Zelensky contrattacca sentendosi più forte. Bisogna abbassare i toni ufficiali, anche perché altrimenti qualcuno insisterebbe troppo con ulteriori domande sullo stesso presidente ucraino il cui mandato è scaduto da molti mesi (ma nessuno parla di elezioni) e che ha rinnovato per altri 90 giorni la legge marziale senza che il parlamento possa dire nulla. Ma quale parlamento c’è ancora a Kiev, dov’è e cosa dice l’opposizione che prima del 2022 era quasi maggioranza? Sono domande che solo la malafede non pone, altrimenti se Putin è considerato uno spietato dittatore perché incarcera i dissenzienti, Zelensky che cos’è?

Non solo. Il buonsenso dovrebbe portare tutti a porsi un quesito ancora più serio, drammatico e di fondo che contraddice la quotidiana realtà del conflitto.

Se tutti infatti sosteniamo che Israele e Hamas devono concludere al più presto una tregua perché le sofferenze dei civili sono inenarrabili e gli USA insistono in prima fila per questo, tenendo a bada e centellinando gli aiuti a Tel Aviv, perché nessuno invece chiede, vuole (e impone) una tregua in Ucraina? Come si inquadra il contrattacco ucraino di questi giorni se non nel voler bloccare ogni possibilità di dialogo? E visto che è impensabile che i comandi militari alleati “non sapessero”, c’era e c’è l’ok politico a questa strategia? L’Europa si svena (gli USA molto meno) per aiutare Zelensky ufficialmente a difendersi e il presidente si muove a piacimento forte di un aiuto “offensivo”… C’è un’aperta incongruenza politica, e se anche ufficialmente Zelensky si giustificasse dichiarando di voler trattare il cessate il fuoco da posizioni più forti, attenti che allora si giustificherebbe anche Putin a fare lo stesso mentre in mezzo ci sono milioni di civili innocenti che soffrono da due anni e mezzo.

Comunque si affronti, i “buoni” – ovvero i nemici di Putin – non ne escono bene ed è per questo che è ora di avviare immediatamente una riflessione profonda, prima che davvero troppo tardi.

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