È dal 22 febbraio 2022 che i russi hanno cominciato quella che, da loro, è stata battezzata “operazione militare speciale”, mentre si trattava di una autentica invasione dell’Ucraina, con l’obiettivo di un colpo di Stato a Kiev per rovesciare, dopo diversi anni di contrasti e l’occupazione della Crimea, il governo di Volodymyr Zelensky.
Il primo commento paradossale e demenziale di questo conflitto in corso fu la dichiarazione dell’apparato di comando della Federazione Russa, dal presidente Vladimir Putin al vicepresidente Dimitrij Medvedev, dove si prefigurava che l’operazione militare speciale si sarebbe conclusa in pochi giorni.
È probabile che molti governi dei Paesi dell’Occidente pensassero la stessa cosa. E cioè che la Federazione Russa avesse ancora le possibilità militari di liquidare una simile questione in poco tempo, per il suo passato, per il suo arsenale militare, anche atomico, e per il ruolo geopolitico che aveva avuto sino alla caduta del Muro di Berlino.
In quel paradosso legato al tempo di una possibile occupazione russa in Ucraina, c’è tutta l’incapacità della nuova politica a livello mondiale, l’incapacità della diplomazia, la superficialità generale con cui si è affrontata, con la tragica globalizzazione del capitale e del mercato, la svolta epocale dell’implosione del comunismo sovietico e tutti i risvolti geopolitici che avrebbe comportato.
Tra l’altro in una situazione mondiale già complicata da situazioni di guerra in diverse parti del mondo, da uno scontro sempre più duro tra Oriente e Occidente, con tanti Paesi in via di sviluppo in grande difficoltà e magari, come in Africa, soggetti indirettamente ancora al vecchio colonialismo europeo o esposti all’espansione sia russa che cinese. E ancora bisogna aggiungere l’eredità dell’11 settembre 2001, lo scontro tra civiltà con anche connotati religiosi, la rivendicazione di un ruolo “neottomano” da parte di Recep Tayyp Erdogan, mentre si assisteva al fallimento a catena della “primavere arabe”.
Il risultato di quel paradosso – ripetiamo abbastanza condiviso – è che oramai, dal 22 febbraio 2022, si è ormai superato un anno e mezzo di guerra, con un calcolo per ora impossibile di morti, una strage da una parte e dall’altra che si tramanderà con rabbia per generazioni. E in questo massacro anche la sequenza di colpi di scena all’interno della Russia (basta ricordare l’operazione del Gruppo Wagner con il suo comandante Evgenij Prigozhin, che prima critica i generali russi e decide di abbandonare il campo, poi ritorna come se il tutto fosse stato una litigata; ma con colpi di scena anche in Europa e in Occidente, per divisioni tra gli Stati e le forze politiche, per gli aiuti militari all’Ucraina e alcune richieste di Zelensky che persino Stati Uniti e Regno Unito (i più coinvolti nell’aiuto all’Ucraina) non possono fare: l’entrata nella Nato di Kiev farebbe scattare il dispositivo dell’articolo 5, cioè la dichiarazione di tutti gli attuali 31 Paesi aderenti alla Nato contro la Russia.
In pratica una guerra mondiale dichiarata, che sostituirebbe il concetto di “guerra grande” che è stato coniato per dichiarare l’instabilità, basata su guerre locali che si allargano continuamente in questo periodo storico.
Il risultato di tutto questo è un impasse, una strada senza via d’uscita, un vuoto diplomatico, che con il passare del tempo può arrivare alla terza guerra mondiale. Ricordiamo solo una riflessione fatta alcuni mesi fa da Lucio Caracciolo: “Siamo solamente alla semifinali”. Che cosa voleva dire? Riteniamo che pensasse giustamente che dietro alla guerra russo-ucraina c’è non solo la tragica “vacanza” della diplomazia, ma anche la ricerca della nuova potenza egemone, che potrebbe disputare una drammatica finale tra gli Stati Uniti e la Cina.
Del resto questo scenario apocalittico lo aveva descritto in un interessante libro, Destinati alla guerra, Graham Allison, facendo un paragone con l’antico passato della Grecia di Sparta e Atene: “Possono l’America e la Cina sfuggire alla trappola di Tucidide?”
L’affannosa ricerca della potenza egemone, al posto di un pluralismo che cerchi sempre la convivenza pacifica, porta sempre alle conclusioni di von Clausewitz: la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi.
Quello che spaventa dopo un anno e mezzo di guerra è la lunga assenza di senso politico, geopolitico e diplomatico. È possibile che dopo due guerre mondiali, dopo gli anni della Guerra fredda, dopo l’implosione del comunismo sovietico e la guerra civile europea descritta da Ernst Nolte, nessuno abbia pensato che fosse necessario un congresso straordinario per una futura convivenza pacifica?
Bastava guardare al Congresso di Vienna del 1815, dopo il periodo napoleonico e Waterloo. Fu in quel momento che Metternich e Talleyrand assicurarono, anche tra turbamenti e guerre circoscritte, un periodo sostanziale di stabilità per quasi cento anni. Almeno fecero un tentativo, anche se non perfetto.
Invece, dopo la Caduta del Muro di Berlino del 1989, si sfaldò una potenza mondiale in quindici Stati e l’avversario storico non si mise mai al tavolo per una seria trattativa di ragionevole convivenza. Quello che importava erano gli affari, sia da una parte che dall’altra.
Il risultato è che in questo modo, dopo un anno e mezzo di guerra, siamo al “punto zero”.
Guardiamo la cronaca di queste ultime settimane e di questi ultimi giorni. C’è il timore che i paesi limitrofi all’Ucraina e alla Federazione Russa vengano coinvolti nelle operazioni militari. È la situazione tra Polonia, antirussa per vocazione, e Bielorussia, filoputiniana ad oltranza, ad inquietare. Si cercano flebili vie diplomatiche tra i due Paesi, ma intanto i polacchi continuano ad ammassare truppe alla frontiera con il Paese di Aleksandr Lukashenko, che a sua volta replica con esercitazioni militari. Si è anche arrivati alla formazione di corpi di intervento militare tra Lituania, Ucraina e Polonia.
C’è poi il rischio dell’apertura di un fronte africano, non solo dopo i fatti avvenuti recentemente in Niger, ma perché molti Paesi del terzo mondo vogliono tracciare il loro futuro senza l’ordine che è stato quasi sempre stabilito dagli Stati Uniti. Non vogliono scegliere né gli Usa, né la Cina, né la Russia. È significativo che, al proposito, nello scorso febbraio 32 Paesi si siano astenuti dall’approvare una risoluzione delle Nazioni Unite che chiedeva alla Russia di ritirare le sue truppe dall’Ucraina. Una risposta del tipo: sono affari vostri.
C’ è intanto il nuovo stanziamento degli aiuti decretato dal presidente americano Joe Biden per l’Ucraina: altri 24 miliardi di dollari. Ma i repubblicani hanno già annunciato che un aiuto illimitato deve essere ben ponderato.
Ma quanto può durare questo aiuto? Ci potrebbe essere qualcuno in America che avrebbe intenzione di ripensarci, magari dopo le elezioni presidenziali o in vista solamente di queste elezioni? Sembra che, al momento, il fatto non sia realisticamente ipotizzabile, perché come spiega John Mearsheimer: “Gli Stati Uniti sono troppo intrisi dello spirito della russofobia”. Ma allora, in definitiva, come si esce da questa tragica vicenda?
L’Ucraina senza l’aiuto occidentale cadrebbe in pochi giorni. La Russia ha problemi ma è imprevedibile comprendere che cosa capiti realmente nel suo gruppo dirigente. Pensare a un successo della cosiddetta controffensiva ucraina è ormai un azzardo. È il New York Times che sentenzia: “La controffensiva ucraina si è rilevata estenuante, sanguinosa e costosa, ma non ha portato alla grande svolta che ci si aspettava in Occidente”.
Certo i costi umani, ma anche quelli economici per i Paesi che non sono coinvolti direttamente nel conflitto sono pesanti e quindi ora in molti cercano una mediazione per arrivare almeno a un cessate il fuoco. C’è chi spera che persino l’ultima iniziativa presa dagli Emirati Arabi possa portare a qualcosa di buono e c’è addirittura chi sostiene che a novembre o a dicembre si possa arrivare a quella che viene sempre ricordata come la “soluzione coreana”.
Sarà. Ma la sostanza che si vede dietro a questa guerra resta sempre la ricerca dell’egemonia nel mondo. L’America sostiene l’Ucraina sia per motivi di diritto internazionale, ma anche perché indebolisce la Russia. La Cina, al momento sostiene la Russia, perché non si sente probabilmente ancora pronta a un confronto aperto, dal Pacifico all’Europa, con gli Stati Uniti. Non si sente pronta insomma alla finale per l’egemonia mondiale. Ma tutto questo non giova certo alla sicurezza del mondo.
A volte viene in mente che l’invasione dell’Ucraina e il conflitto che dura da più di un anno e mezzo, che rischia anche di allungarsi ancora per lungo tempo possa diventare il “buco nero” della convivenza pacifica nel primo secolo del terzo millennio.
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