L’altro giorno il primo ministro Giorgia Meloni e Zelensky hanno parlato della collaborazione tra Italia e Ucraina nella prospettiva della ricostruzione.
Già in un precedente articolo accennavo alle questioni legate al campo della formazione e dell’università. Proprio partendo da questo vorrei proporre alcune considerazioni partendo dalla necessità, urgente, di ricostruire un efficiente sistema sanitario.
La guerra sta lasciando una grande quantità di feriti, di mutilati, di persone fortemente provate anche dal punto di vista psichico e psichiatrico. Mesi trascorsi con un’alimentazione insufficiente e magari al freddo per la mancanza di riscaldamento, hanno procurato a moltissime persone una serie di malattie che rischiano di diventare endemiche.
Gli studenti di medicina, quelli che non sono stati impiegati sul campo di battaglia, hanno seguito, come potevano, corsi on-line, senza, almeno in molti casi, quella necessaria pratica guidata che si fa normalmente.
Nella prospettiva della pace si apre un campo infinito, non solo di aiuti con il necessario materiale medico-farmaceutico, ma anche quello relativo alla riorganizzazione dell’insegnamento della medicina.
In questo senso le università e gli ospedali italiani potrebbero offrire la loro esperienza ai giovani ucraini. Nello stesso tempo si potrebbe proporre a studenti italiani di fare esperienze importantissime nel campo della “medicina di guerra”. La qual cosa farebbe sentire la parte ucraina veramente collaborante e non solo assistita.
Naturalmente quello che scrivo per le facoltà di medicina potrebbe valere anche per altre, come quelle di architettura e ingegneria.
Un capitolo a parte, comunque molto interessante, sarebbe poi quello da aprire per chi studia le relazioni internazionali. Sulla base della mia esperienza di insegnamento presso l’Istituto di diplomazia di Astana, che mi permise di avere un rapporto diretto anche con Gorbaciov, Lavrov e di assistere dal vivo alla firma del trattato Csto, con relativo show di Vladimir Putin, posso affermare che per i futuri diplomatici questa guerra ha rappresentato un’esperienza enorme. Parte di questa esperienza sono anche gli aspetti negativi, il delicato rapporto tra il mondo della diplomazia e quello della politica, dell’informazione, dell’ambiente militare.
In questo senso mi pare che molte difficoltà, forse, siano derivate da una non sempre approfondita conoscenza non solo della tradizione diplomatica di scuola sovietica, ma, soprattutto, della psicologia di massa. In molti, infatti, sembrano non essersi accorti che entrambi i contendenti sono accomunati – ciascuno a modo suo – da un forte nazionalismo.
Anche i “nostri”, per molti aspetti, non sono molto diversi dagli “altri” e ci tengono molto, anche nella forma, a sentirsi il più possibile protagonisti di quanto sta accadendo. Come, mi pare, sia giusto.
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