Il tema è decisamente esplosivo, non se ne vuole parlare, ma sta diventando il convitato di pietra anche della campagna elettorale, oltre a porre problemi in tutta Europa: vale la pena di continuare a sanzionare Putin o servono (anche) altre strategie per concludere o almeno sospendere il conflitto in Ucraina?
Nessuno mette in dubbio le responsabilità russe per l’aggressione, ma dopo sei mesi di guerra la situazione è ormai sostanzialmente di stallo: il fronte è fermo, Kiev resiste grazie agli aiuti militari occidentali e soprattutto americani, ogni notte il presidente Zelensky incita il suo popolo e il mondo alla resistenza, negando ogni possibilità di mediazione, e dal canto suo il commissario europeo Josep Borrell non le manda a dire tenendo una posizione di quotidiana, aperta sfida a Mosca.
Partiamo proprio da Borrell, il maggior interprete di una “linea dura” europea che però non ci sta portando da nessuna parte. Borrell tiene posizioni curiose: in settimana ha affermato che “moralmente, politicamente e militarmente, la Russia, in sei mesi di combattimenti, ha perso”. Sembra quell’allenatore di calcio che esce sconfitto dal campo, ma che – prendendosela con l’arbitro, i gol mancati, pali e traverse – sostenga che “moralmente però abbiamo vinto noi”.
Ripeto, non si tratta minimamente di amnistiare l’invasione di Putin, ma di valutare un minimo di “realpolitik” per cercare di ridurre i danni collaterali, prima di tutto umanitari ma anche economici, che stanno squassando l’Europa senza nessun beneficio né per l’Ucraina né per gli europei.
Borrell ammette che la Russia “ha ancora la capacità di condizionarci economicamente, sempre meno, ma lo fa” e che tra le conseguenze del conflitto l’Europa “si libererà dalla dipendenza dall’energia russa quando si tratta di decidere di politica internazionale. Finora è stato un fattore di condizionamento importante ed ha condizionato. Ma se il cane è morto, la rabbia è finita. Se questa dipendenza non esiste, la nostra politica può essere diversa”.
Che il “cane” russo sia morto davvero e ci condizionerà sempre di meno è tutto da vedere, mentre il rischio è che nel frattempo l’Europa sia sempre più agonizzante. I russi saranno i “cattivi”, d’accordo, ma perché allora l’Europa mostra il muso feroce solo contro Mosca e non anche contro le tante (troppe) nazioni del mondo che usano gli stessi criteri di oppressione nei rapporti interni e internazionali? Se i princìpi non sono negoziabili, allora il metro di giudizio da seguire dovrebbe essere uguale per tutti.
Sostanzialmente mi sembra che circolino anche delle grosse bugie o almeno omissioni. Se siamo “quasi” capaci di affrancarci dal gas di Mosca (ce lo ripetono tutti i giorni), non ci converrebbe allora temporeggiare in attesa dell’autonomia energetica piuttosto che adottare il muro contro muro? Proprio perché Mosca non sta comunque vincendo la guerra, forse oggi è più disponibile (vedi la trattativa sul grano) a fare concessioni, a discutere, a trovare una mediazione che permetta all’Europa di rimanere fieramente al gelo durante l’inverno, ma almeno senza compromettere la propria industria e le tante attività produttive che corrono dritte al fallimento energetico, spiazzandoci dal mercato mondiale, cosa che invece non avviene – e la cosa andrebbe sottolineata – per Cina, Usa e tanti altri Paesi.
Siamo sicuri che le sanzioni non stiano colpendo l’Europa molto più dei nostri nemici? Ricordiamoci che non le applicano la Cina, l’India, il Sud-Est asiatico, gli Emirati Arabi, l’Africa, tutto il Sudamerica, il Messico. Alla fine sono solo i Paesi “occidentali” che le impongono (peraltro con molti trucchi), ma a rimetterci è sostanzialmente solo l’Europa.
Abbiamo ufficialmente bloccato i rapporti con la Russia, ma negli ultimi sei mesi solo in Germania sono transitati con relativo visto quasi un milione di cittadini russi (notizia Ansa del 25 agosto), mentre interi settori industriali e commerciali nel nostro Paese hanno perso la clientela russa, a iniziare dal turismo, e certamente non erano oligarchi quelli che arrivavano a Forlì in volo charter. La Turchia ringrazia, forse è più realista di noi, sicuramente più furba.
Anche grazie alle sanzioni l’euro ha perso contro tutte le valute mondiali, i prezzi sono impazziti, il gas è oggetto di una speculazione inaudita ma tollerata da Bruxelles: davvero tutto è colpa di Putin o l’Ucraina è diventata anche occasione di un grande business internazionale?
Il problema del grano – per esempio – ha tenuto banco per settimane con la Russia dipinta come “affamatrice” del mondo, poi da un giorno all’altro è sparito dai media che poco avevano sottolineato come l’Ucraina rappresenti poco più del 10% dei Paesi produttori. Ammetterlo sarebbe stato nascondere le speculazioni sui prezzi degli altri Paesi produttori, soprattutto nordamericani.
Intanto chiunque richiami l’umanità alle proprie responsabilità è tacciato di essere “filo-russo”, compreso anche Papa Francesco, che invece quotidianamente insiste sulla necessità del dialogo e di un reciproco e vero disarmo, ma va contro il business della morte e quindi viene tacitato, minimizzato o addirittura strumentalizzato come è avvenuto nei giorni scorsi.
La pace non dovrebbe essere un “valore” anche per l’Europa? Purtroppo sicuramente l’Ue non si sta muovendo per creare le condizioni almeno di un “cessate il fuoco”. Tutti hanno un disperato bisogno di pace: milioni di profughi innocenti, decine di migliaia di famiglie che hanno perso i loro cari, popoli stremati a cui il Donbass interessa poco o nulla.
Si annuncia un referendum nelle zone occupate: perché non proporre l’invio di osservatori neutrali piuttosto che parlare già di “pseudo-referendum”? Eppure il Consiglio d’Europa dovrebbe cominciare a chiedersi dove siano finiti non solo gli oppositori di Putin, ma anche quelli di Zelensky, visto che dal Parlamento di Kiev è stata totalmente estromessa ogni forza di opposizione.
L’opinione pubblica si sta intanto purtroppo assuefacendo alla guerra e se ne disinteressa, i commenti sono tutti monocordi, scontati, così come le presunte “influenze” russe sul voto che appaiono ben poco credibili, salvo che il problema vero sia invece non aver il coraggio di affrontare seriamente il centro della questione: l’Europa sta davvero tenendo una posizione autonoma, credibile, convincente?
Eppure guai al leader politico che cominciasse a porsi queste domande.
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