È senz’altro solo una coincidenza, ma colpisce che la proposta di pace presentata dalla Cina si articoli su dodici punti come i disattesi Accordi Minsk 2. È probabile che anch’essa verrà accantonata, vista l’accoglienza in generale quanto meno fredda, con critiche sulla sua genericità e, per taluni, anche ambiguità.



La proposta è senza dubbio generica, ma un piano concreto con azioni precise e ben delineate può essere presentato solo dalle parti direttamente coinvolte: Russia, Ucraina, Stati Uniti e Ue. Un mediatore, e Pechino si presenta come tale, può solo mediare tra proposte dei contendenti, per principio non coincidenti, altrimenti può solo cercare di delineare principi generali su cui imbastire un confronto.



Ciò che risulta sempre più evidente è la mancanza ufficiale di una minima proposta dalle parti in causa per giungere almeno a un cessate il fuoco. Una responsabilità di cui dovrebbero farsi carico soprattutto Stati Uniti e Ue, se davvero volessero raggiungere un risultato che non sia un’improbabile disfatta della Russia, che avrebbe comunque conseguenze pesantemente negative anche al di fuori del Paese sconfitto.

Riguardo alla critica di ambiguità, credo derivi dal fatto che il documento non prende posizione per nessuna delle parti, tanto meno condanna esplicitamente l’aggressione di Mosca all’Ucraina. Il documento ha per titolo: “La posizione della Cina sulla risoluzione della crisi ucraina” ed è nota la posizione cinese verso Mosca. Tuttavia, il primo punto del documento è una netta dichiarazione a sostegno della sovranità, indipendenza e integrità territoriale di tutti gli Stati, principio di diritto internazionale universalmente riconosciuto. Una dichiarazione, quindi, che non può che suonare come un’implicita condanna dell’aggressione russa.



Rilevante, però, è la chiusura di questo primo paragrafo:”Deve essere promossa una uguale e uniforme applicazione della legge internazionale, mentre devono essere respinti double standards”, cioè l’uso di due pesi e due misure. Non è difficile intravvedere un non tanto velato rimando al “doppiopesismo” di Usa e Nato, che non hanno esitato a bombardare la Serbia per staccare dal suo territorio il Kosovo. Gli obiettivi di Pechino potrebbero però andare oltre una critica di incoerenza o, diciamo, morale, e portare a conseguenza ben più gravi.

Il riferimento è alla situazione di Taiwan e al principio “una sola Cina, due sistemi”, principio accettato anche dagli Stati Uniti. Su questa base, Taiwan de iure fa parte della Cina, pur essendo de facto indipendente: ovviamente Taipei sostiene la situazione di fatto, mentre Pechino si appella a quella di diritto e afferma inevitabile un ricongiungimento. Cosa peraltro già successa per Hong Kong, con risultati non proprio positivi, ma Hong Kong era sotto mandato inglese, mentre Taiwan si comporta come un vero e proprio Stato indipendente. Nel 2005, la Cina ha approvato una Legge Anti-secessione che prevede un intervento “non pacifico” nel caso che si verifichi un tentativo di secessione di Taiwan o si siano esaurite tutte le possibilità di una riunificazione pacifica.

Alla luce della formulazione del primo punto del documento, si può quindi ipotizzare che Pechino ponga in parallelo Taiwan e le repubbliche separatiste del Donbass e che ritenga legittimo riprendersi con la forza Taiwan, così come tentato da Kiev con Donetsk e Lugansk, senza particolari condanne da parte dell’Occidente. Non è di certo un assist a Mosca, ma pone un bel dilemma per Washington: come potrebbe opporsi a un’annessione forzata di Taiwan, dopo aver accettato il principio di “una sola Cina, due sistemi”? E potrebbe limitarsi a un aumento dell’invio di armi a Taipei e a una raffica di sanzioni contro Pechino? O per difendere realmente la democrazia a Taiwan, dovrebbe comportarsi come l’autoritaria Russia e attaccare la Cina?

Sotto questa prospettiva, direi che la “proposta di pace” cinese è tutto fuorché generica e ambigua, bensì molto chiara e pericolosa.

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