Che anno è? Anzi che anno era? E in quale tempi siamo ? Siamo in tempi di guerra, e in un certo senso a raccontarli ci si sente fortunati. Fortunati come sempre, perché si è nati in un lato del mondo fortunato. E mentre assistiamo, dai divani di casa nostra, magari preparando la cena e lamentandoci di una brutta giornata, dall’altra parte ci dicono che il mondo va a pezzi, che stiamo crollando anche noi che commentiamo la guerra, che già questo fa paura “commentare la guerra” .



Vediamo i morti, ma in un certo senso ci abituiamo, come sempre è successo. Ci abituiamo ai cadaveri dei bambini, degli anziani che non c’entrano nulla. Chi c’entra con la guerra? Ci abituiamo ad un mondo di cui ci lamentiamo sempre ma che siamo in larga parte colpevoli di aver creato. Nessuno vuole la guerra? No, non è così. Ci sono i soldi di mezzo, c’è il benessere, il nostro. La paura di rimanere al freddo una specie di chiodo fisso e per quanto siamo portati a sventolare bandiere della pace e manifestare e dire di no alle brutture e alle macerie del nostro tempo, in realtà la rinuncia a questo benessere si fa sempre più difficile. Se rinunciassimo al gas, forse Putin non avrebbe i soldi per pagarsi la guerra. E non è retorica, è solo un dato di fatto. La guerra è un dato di fatto. E la guerra non cambia mai, i modi forse, come ci arriva, come la percepiamo, ma la guerra è guerra.



A ricordacelo, a chi ne ha esperienza e capacità è sempre l’arte, la musica. Io non me la ricordavo la guerra dei Balcani. In quei tempi avevo all’incirca dieci anni e in più il mondo della comunicazione non era così veloce e vorace. Per un paradosso mi ricordavo fino ad un certo punto della mia vita, più quella in Kuwait, perché c’erano due prigionieri italiani, Bellini e Cocciolone. Non so se ve li ricordate. Il fatto che ci fossero italiani lì, prigionieri, quello me la faceva sentire più vicina. Ed è così, le cose che senti vicine alla fine ti appartengono e le memorizzi. Poi crescendo, tutti i ricordi sono diventati una realtà, agghiacciante a tratti e la musica che ascoltavo crescendo, custodiva ricordi di guerra e pagine di storia, così a formare una memoria storica.



Nei nostri venti anni invece la mia amica Valentina partiva volontaria in Bosnia, io nel 2011 intervistavo per il sito del Foglio,  Stefano Bianchini, allora direttore del Centro per l’Europa centro-orientale e Balcani. Ma in tutto questo filone di guerre viaggi e lavoro, faceva capo alla musica dei C.S.I. e dei C.C.C.P . La terra, la guerra, una questione privata era uscito nel 1996, a ricordo della memoria di Beppe Fenoglio. Era un album che conteneva canzoni come Cupe vampe che ti riportava  in mano il ricordo del rogo della Biblioteca Nazionale di Sarajevo, da questo brano riuscivi a percepire che la guerra non solo uccide i corpi ma è destinata ad uccidere la storia di un popolo, cioè l’anima. Era una specie di lacerazione interna questo album, un conflitto interiore con il mondo che appariva distrutto, lo era qualunque cosa. Ed ora a riascoltarlo, anni dopo, perché gli anni passano e i miei 10 anni sono diventati 40, tutto è come prima.

Non è cambiato niente, la guerra è guerra. Ma come c’è la guerra c’è a contrapporsi sempre la musica. La bambina ucraina che canta Frozen mentre in un sotterraneo si rifugiano dai bombardamenti. In quel momento però la musica vince, perché ridona il sorriso alla bambina, le permette di innalzarsi sulle macerie, come fece il violinista  Smailovic sulle macerie della Biblioteca di Sarajevo. C’è un pianoforte che non percepisce la distruzione, rimane intatto, ci sono persone che protestano e cantano Zombie. La musica ha un potere straordinario, perché mantiene viva la memoria, e in uno scenario di morte è l’unico posto possibile per esserne ancora custodi.  E’ il 2022 o il 1991? Era esattamente il 1996 quando usciva La terra, la guerra, una questione privata ma da allora cosa è cambiato ? Ricordare ci serve sempre, l’arte è memoria e ne abbiamo parlato e ricordato con Gianni Maroccolo, produttore dell’album  e bassista di C.S.I, CCCP, Litfiba

La guerra, la terra una questione privata è un album che contiene brani di altri due album che a livello storico musicale oggi hanno ancora più importanza a riascoltarlo e rileggerlo. Ko de mondo che aveva due significati: uno che “Lo scenario era cambiato: non più l’Impero Sovietico ma l’Europa e tutti i luoghi in cui finisce l’idea d’Europa” se riporti queste parole ad oggi. Dove finisce secondo te oggi, con il conflitto Ucraino- Russo l’idea dell’Europa? E invece l’altro dove Ko de Mondo poteva voler dire anche che il mondo occidentale era a tappeto. A guardare oggi non è un controsenso ovvero finisce l’Impero Sovietico ma finisce anche l’Occidente quindi la guerra, le guerre già in questo album erano vissute come una dissoluzione dell’umanità?

Non credo che l’umanità sia destinata a dissolversi, ma nulla potrà salvarci dal vivere il nostro tempo. Come sempre è accaduto, attraverseremo questa epoca per poi ritrovarci a rimettere insieme i cocci e a ricostruire. Crederemo di avere compreso, di avere imparato la lezione, ma la memoria ci terrà vigili per un istante per poi svanire appena l’ennesima “Rinascita” si sarà manifestata. A quel punto ricominceremo da capo un’altra volta come se niente fosse. La specie umana è destinata, o forse costretta, ad evolversi, e la storia dell’umanità ci dice che attraverseremo anche le atrocità di questi giorni e che continueremo nonostante tutto a vivere. E’ nella natura dell’uomo il desiderio di sopraffazione e di potere ed è ben più forte del desiderio di pace e di cooperazione tra i popoli. Siamo capaci di amare chi ci sta vicino così come, dalla sera alla mattina, di tagliargli la gola in nome di qualcosa o qualcuno. E’ così da sempre e accadeva prima della caduta del muro, subito dopo, così come oggi. Schierarsi ha poco senso perché a turno, e a volte anche contemporaneamente, ci ritroviamo ad essere vittime e carnefici. L’ idea di suddividerci in stati, nazioni, paesi, religioni, di delineare confini, ha creato certo identità e culture differenti; mezzi potenziali di crescita per l’umanità intera, un’arma micidiale però quando le differenze si trasformano in dualismo e contrapposizione violenta. La stessa globalizzazione, se vissuta con spirito di cooperazione e di crescita avrebbe potuto essere un beneficio per gli esseri umani, ma si è trasformata in ben altro e oggi ce ne stiamo rendendo conto tutti. Il mondo si è capovolto. La civiltà “occidentale” è da tempo in difficoltà , ci piaccia o meno, India e Cina (e non solo) fioriscono mentre noi decadiamo. Noi che continuiamo a credere e ad agire pensando di essere ancora la civiltà di riferimento per tutti, quella giusta, l’ unica possibile. Le “nostre” guerre sono giuste, quelle degli altri no. Le nostre atrocità si perpetuano a fin di bene e di fronte a quelle altrui inorridiamo. Ma sono le stesse. E’ il nostro tempo purtroppo, e non sarà facile attraversare questa mutazione epocale molto simile ad una vera e propria Apocalisse. E se penso all’ Europa, intesa come Comunità europea, la vedo come un’ opera incompiuta. Non è mai stata, non è per ora, l’ Europa dei Popoli.

“Ci fotte la guerra che armi non ha ci fotte la pace che ammazza qua e là ci fottono i preti i pope i mullah l’ONU, la NATO, la civiltà. Bella la vita dentro un catino bersaglio mobile d’ogni cecchino… Il nostro mondo è adesso debole e vecchio, puzza il sangue versato è infetto…Oggi è domenica, domani si muore Oggi mi vesto di seta e candore. Oggi è domenica, domani si muore”. Ti ho messo insieme Cupe vampe, Del mondo e Irata: secondo te è cambiato qualcosa da quando avete scritto queste canzoni ? Cosa è cambiato da allora ?

Ai miei occhi e al mio sentire non credo sia cambiato molto se non la mia percezione e la comprensione di ciò che allora scriveva Giovanni (Lindo Ferretti, ndr). Spesso non mi convinceva del tutto la sua visione del mondo e mi dicevo che non saremmo mai arrivati a tanto, che col tempo saremmo stati capaci di rendere migliore l’umanità. Che tutto insomma, fosse circoscritto al “presente” e che noi Csi avessimo il dovere di narrarlo attraverso le parole e la musica, ma non pensavo, a differenza di Giovanni, che ci saremmo ritrovati a vivere questo presente. Credo sia stato profetico nel comprendere in quale buco nero ci stavamo infilando e a cantarlo in tempi non sospetti. Oggi è manifesto ciò che allora ai miei occhi pareva plausibile, ma impossibile.

La musica ha un potere straordinario (non so se hai visto quella bambina che canta Frozen in un sotterraneo) anche quelle persone imprigionate in Russia, che cantano Zombie quando vengono portate via dai poliziotti russi  sembra una stupidaggine ma quanto potere può avere la musica secondo te in realtà , anche in un momento dove tutto intorno è morte?

La cultura, l’arte in tutte le sue declinazioni sono elementi vitali. Narrano la temporalità del nostro vissuto in modo profondo e sincero, sostituendosi spesso a chi avrebbe invece il dovere di raccontare e documentare la verità. La musica non dico sia in grado di modificare gli eventi, ma credo abbia ancora la forza per raccontarli e per unire le persone prescindendo da confini, colori, politica, lingua. Arte e cultura dovrebbero circolare liberamente sempre, senza mai arrestarsi. Essere testimonianza e memoria al tempo stesso. Una possibilità di condivisione. Un linguaggio universale capace di coinvolgere, far riflettere, emozionare tutti. Non riesco a credere che un musicista o un regista o uno scrittore possa essere percepito come un nemico.

Non è in questo album ma Guerra e pace descrive in senso assoluto la guerra e quello che siamo “e noi che siamo esseri liberi un ciclo siamo macellati e un ciclo macellai”: vorrei che mi spiegassi queste parole, ovvero siamo esseri liberi però artefici e carnefici del nostro inizio e della nostra fine?

Credo di sì. Vittime e carnefici, ma non poi così liberi da poter condizionare più di tanto l’ umanità. Siamo una specie giovane e imperfetta e anche se abbiamo la presunzione di credere di essere indispensabili e i più evoluti, in realtà siamo poca cosa. La vita su questo pianeta, grazie al Cielo, non dipende da noi e il nostro passaggio terreno dura per fortuna un attimo. Un attimo in cui siamo si in grado di fare e di farci del male, ma anche di divenire portatori di amore e fratellanza. Il dolore che creiamo più o meno consapevolmente, non è accettabile, ma andrebbe compreso e vissuto, perché non penso sia sufficiente scegliere da che parte stare per risolvere il problema, troppo facile; un po’ come lavarsene le mani. Siamo parte di un “tutt’uno” che ci comprende; che ha inizio ben prima della vita di ognuno di noi e che non avrà fine. Faccio mio un pensiero di Giovanni che condivido: «Questo delirio è ciò che ci aspetta, non ci si esce. Ci si adegua. Il mondo è irrimediabilmente cambiato e io credo che non ci sia niente da fare  Il livello profondamente negativo e mutante della globalizzazione sta arrivando e non ho parole consolatorie a riguardo».

(Graziella Balestrieri)