Pensare o prevedere una conclusione della guerra in Ucraina, in tempi relativamente brevi, è ormai diventata una sorta di drammatica scommessa. C’è ormai una cronologia giornaliera che riguarda l’avanzata dei russi, le controffensive degli ucraini, la caduta delle acciaierie di Mariupol con il Battaglione Azov che, secondo alcune versioni, si sarebbe arreso in parte, secondo altri avrebbe ancora dei combattenti che cercano di resistere. Avere con esattezza il quadro della situazione “sul campo”, come si dice, in gergo militare e diplomatico, è ancora impossibile.



Tutto questo è quello che stupisce maggiormente dopo che “l’operazione speciale” programmata dai russi e anticipata dall’intelligence britannica e americana veniva considerata una solenne “bufala” dai grandi (si fa per dire) esperti militari, diplomatici e politici dell’Europa e dei Paesi che ne fanno parte.



Di fatto siamo arrivati alla dodicesima settimana di una vicenda che peserà sul futuro dell’Europa e probabilmente di tutto il mondo per molti decenni e al momento non si vede un reale spiraglio diplomatico, sperando sempre che la diplomazia vera sia quella che agisce di nascosto e non parla mai, soprattutto nella baraonda dell’informazione attuale, dove in alcuni Paesi come l’Italia, ad esempio, sembra di assistere a una fotocopia del campionato di calcio. Ma, in realtà, anche altrove se ne sentono di tutti colori. 

Al punto in cui si è arrivati anche una soluzione concordata, quella di un “cessate il fuoco”, di una tregua e infine, dopo molto tempo,  di un nuovo assestamento geopolitico fa pensare a un futuro di  risentimenti, di rancori, di strascichi drammatici, tra gli ex Paesi dell’implosa Urss, Ucraina innanzitutto, e gli altri che facevano parte del blocco sovietico, con la nuova Federazione Russa. Tutto questo è il prodotto di un 1989 interpretato con superficialità, con una serie di errori a catena, fatti da una parte e dall’altra dagli eredi dei contendenti della Guerra fredda, che forse sognavano una fermata definitiva della storia.



Chi cercava di affrontare il problema veniva accusato di pessimismo, o peggio di catastrofismo. Nessuno si poneva il problema di quale ordine nuovo sorgeva dal lungo contenzioso della Guerra fredda e soprattutto prevalevano antiche posizioni ideologiche contrapposte. 

Nessuno che aveva presente, ad esempio, che l’animosità dei francesi versi i “boches” tedeschi (i testoni) è durata dal 1870 al 1945. Un libro, forse dimenticato, dello storico inglese Cristopher Clark, I sonnambuli: come l’Europa arrivò alla grande guerra, riferendosi a quel periodo, potrebbe risvegliare qualche ripensamento. Questi scontri, secolari un tempo, ma troppo lunghi anche in questa epoca, provocano problemi quasi irrisolvibili, lasciano scorie e mettono a rischio anche la politica interna dei Paesi democratici. 

La frase più usata nel definire la guerra di Ucraina, dopo il mancato blitz russo che ci si attendeva dai “nipotini” di Breznev, è ormai “guerra di logoramento”, ma se si guarda allo stato delle democrazie occidentali si resta abbastanza perplessi per non dire preoccupati. 

In Germania, un Paese leader della Unione Europea, il socialdemocratico Olaf Scholz naviga tra problemi complessi per la politica che la Germania, sia con i socialdemocratici sia con la Cdu-Csu, ha condotto per anni con l’apertura verso i russi soprattutto sui problemi energetici. Nella Francia di Emmanuel Macron i partiti tradizionali hanno lasciato lo spazio a un leader che è stato rieletto presidente recentemente, ma che governerà con difficoltà, stando agli ultimi sondaggi. Il nuovo partito di sinistra di Jean-Luc Mélenchon continua a guadagnare consensi e c’è chi lo accredita addirittura al primo posto. Difficile nel semi-presidenzialismo francese governare con un’Assemblea nazionale problematica.

Infine c’è l’ingarbugliata situazione italiana. Se in Ucraina si parla di guerra di logoramento, in Italia non si può che parlare di strategia di logoramento per questo governo, retto o imposto – a seconda delle interpretazioni – da Mario Draghi.

Draghi è arrivato a Palazzo Chigi quasi al termine di una legislatura allucinante, con personaggi che hanno subito una parabola impressionate. Diciamo pure che da dieci anni, dai tempi di Monti e della Fornero, passando per l’esplosione di Renzi succeduto a Letta con il famoso “stai sereno”, che era tutto un programma, si è arrivati al trionfo e alla caduta del grillismo, con spettacoli surreali e rovesciamenti di maggioranze con alleanze di ogni tipo. Tutto questo ha contribuito a logorare sempre di più la democrazia italiana. 

È probabile che Draghi abbia visto una situazione, prima economica che politica, al limite della sostenibilità e abbia pure giocato le sue carte, forse attraverso un appoggio troppo scoperto dei maggiori organi di informazione, per un suo passaggio al Quirinale in una prospettiva che prefigurava quasi un “presidenzialismo di fatto”. A guardare i sondaggi, è proprio dopo la riconferma di Mattarella al Quirinale che la stella di Draghi comincia a impallidire. Fatto che potrebbe essere fisiologico, ma che si accentua sempre di più con le contestazioni che arrivano dall’interno del governo.

Qui si deve fare un cenno necessariamente al Pnrr che andava probabilmente bene per affrontare pandemia e dopo pandemia, ma che pone degli interrogativi con il dopo pandemia aggravato dalla conseguenze economiche, che  già provoca e che provocherà nel prossimo futuro, la guerra ucraina sia sul piano energetico che su quello alimentare e su quello economico in generale.

Come si potranno affrontare i prossimi problemi che sorgeranno con un’Unione Europea dove non si riescono a raggiungere alcuni accordi e dove basta un solo membro dell’Ue a bocciare una scelta politica o economica?

Nella confusione italiana, dove l’atlantismo è contestato da un agguerrito “fronte pacifista” e dove il passato di una “Ostpolitik” riformista alla Willy Brandt è confusa con un filo-sovietismo alla  “rampazzo”, con un Berlinguer che cambia idea nel giro di due anni, è difficile districarsi anche a distanza di trent’anni.

Draghi è certamente un economista che sa adattarsi, e da allievo di Federico Caffè (grande keynesiano italiano) è diventato un “allineato” alla Goldman Sachs. Ma soprattutto ha evidenti carenze politiche, nonostante il suo incedere e il suo modo di parlare in sicurezza.

Come è possibile, dopo questi anni, non prevedere le reazioni di Salvini e di Conte, le contraddizioni del Pd che qualcuno ritiene diviso in tre pezzi, anche a proposito della guerra in Ucraina? E come è possibile non prevenirle?

L’impressione è che con le difficoltà attuali non basti convocare i responsabili della maggioranza con un messaggio telefonico e metterli sull’attenti. 

Siamo entrati in un clima elettorale, dove si teme una grande astensione, dove è difficile un pronostico realistico di maggioranza, dove le riforme che l’Europa vuole sono spesso contestate e soprattutto richieste con un metodo talmente perentorio da irritare chiunque. Forse potrebbero essere meglio discusse e forse in parte modificate, per un cambiamento più ampio della stessa Europa.

In questa guerra di logoramento interno a Draghi non conviene essere sbrigativo, ma piuttosto persuasivo con le armi della politica. Se non ci riesce, il logoramento può riservare sorprese al governo e  allo stesso assetto democratico italiano che, forse, andrebbe quanto meno “riverniciato”.

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