Esce oggi in libreria Guerra e pace ai tempi di Putin, pubblicato da Cantagalli e scritto da un generale di corpo d’armata, Marco Bertolini, che ha partecipato a diverse missioni all’estero, e un docente universitario di slavistica, Giuseppe Ghini, attento conoscitore della storia e cultura russa. Il saggio affronta la genesi del conflitto ucraino e i nuovi equilibri internazionali che stanno nascendo. Per capire cosa sta accadendo da tre mesi nel sanguinoso scontro fratricida che semina morte e distruzione, “non è sufficiente prestare attenzione alle notizie filtrate dai mass media che inondano di immagini e parole il nostro quotidiano”, afferma l’editore. Bisogna invece “comprendere quali siano state le cause remote e recenti di questo conflitto, i motivi storici, culturali, politici e militari”. 



Occorre poi conoscere da vicino “chi sono gli ucraini e i russi e come abbiano interagito nel corso della storia; cos’è accaduto in Russia dopo la fine del’Impero sovietico; chi è Putin e quali siano gli aspetti positivi e negativi del suo mandato presidenziale; quale sia stato il ruolo della Nato, dell’Europa e degli Stati Uniti”. 



In definitiva è importante “avere chiaro, per quanto possibile, il quadro generale, per evitare di banalizzare o male interpretare” questo drammatico evento che sta gravando sulla vita di milioni di persone. Abbiamo letto il libro in anteprima e, tra tante notizie interessanti e sorprendenti, abbiamo individuato dodici “numeri” che ci aiutano a guardare la realtà della guerra in Ucraina da un punto di vista non scontato.

6: sono i Paesi occidentali – più precisamente membri della Nato – che dal 2014 danno il via libera all’esportazione di armi letali all’Ucraina: Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Turchia, ma soprattutto Stati Uniti e Gran Bretagna (Oggi sono molti di più, compresa l’Italia).



13: è il numero di “conflitti interni ad altri Paesi” in cui per gli Stati Uniti è “diventato normale intervenire militarmente”, per usare le parole di Putin nella lettera scritta agli americani nel 2013 e pubblicata dal New York Times. Tali interventi sono avvenuti a partire dagli anni Novanta del XX secolo a Panama, ad Haiti, nella guerra del Golfo, due volte nella guerra civile somala, in Afghanistan, in Iraq, in Kosovo, nello Yemen, in Pakistan, Libia, Uganda e Siria.

30-35%: è la percentuale di russofoni in Ucraina nel 1991 dopo il crollo dell’Urss. Ma viene deciso che l’ucraino è l’unica lingua ufficiale, anche nelle aree del Paese in cui più compatta è la presenza russofona, come a Sebastopoli, in Crimea, dove raggiunge il 90% della popolazione (dal marzo 2014, dopo il referendum di annessione a Mosca, anche il russo è divenuto lingua ufficiale).

92%: è la percentuale di emittenti televisive – in gran parte possedute dall’élite oligarchico-politica – che alla fine del 2018 passano a trasmettere esclusivamente in lingua ucraina (già dal settembre 2014 era vietata la diffusione con ogni mezzo dei contenuti di 15 Tv russe). 

100: Sono i Paesi che hanno contestato il referendum in Crimea che nel 2014 ha registrato un’altissima maggioranza (il 95%) a favore dell’opzione indipendentista: i 28 dell’Unione Europea (compresa la Gran Bretagna, che ne faceva ancora parte) più Stati Uniti e altri 71 membri dell’Onu.   

622: è il numero di scuole in lingua russa in cui – secondo una disposizione del 2017 – è obbligatorio adottare entro il 2023 l’ucraino come unica lingua d’insegnamento. Stessa disposizione per le 80 scuole in lingua rumena, le 53 in lingua ungherese e le 3 in lingua polacca. Il 13 marzo 2020 il presidente Zelensky conferma per decreto la completa abolizione dei programmi in lingua russa. 

3.867: In dollari è il reddito pro capite ucraino nel 2012; nel 1991 era di 1.490 dollari. Nello stesso periodo (dal 1991 al 2012) il reddito pro capite in Polonia è passato da 2.187 a 12.708 e in Russia da 3.427 a 14.037. Punti di partenza simili e approdi così diversi dipendono dal fatto che Varsavia e Mosca si sono adeguate alle regole del mercato globale, a Kiev non si è mai fatta una riforma.

160-180mila: è il numero di uomini messi in campo dalla Russia all’inizio dell’invasione, su un fronte di circa 1600-1800 km dal confine con la Bielorussia a nord di Kiev fino a Mariupol, e altri 500 km circa da Mariupol  a Mykolaïv. Vuol  dire un soldato ogni 13 metri.

200mila: è l’entità delle forze armate ucraine, escluse le milizie formate da civili; i russi quindi non raggiungevano, quando hanno varcato i confini, quella superiorità di tre a uno che di solito si ritiene necessaria per aver successo in un’operazione offensiva e, in questo caso, occupare tutta l’Ucraina.

7 milioni: Sono gli ucraini emigrati negli anni 1993-2014 per motivi economici, riducendo la popolazione da 52 a 45 milioni di abitanti. Uscita dall’Urss come uno dei Paesi più poveri dell’Unione, l’Ucraina non è mai decollata: invece di avviarsi verso l’economia di mercato ha subito l’ascesa degli oligarchi, che si sono spartiti le risorse.

23,5 miliardi: è l’ingente finanziamento assicurato all’Ucraina nel 2014-2015 dal Fondo monetario internazionale, dalla Banca mondiale e dall’Unione Europea, legato però a riforme strutturali mai portate a compimento.

67,7 miliardi: è la quota di Pil in dollari, la metà del totale, detenuta nel 2014 dalle 50 persone più facoltose dell’Ucraina, mentre in Russia nello stesso anno la percentuale di Pil detenuta dagli oligarchi si fermava al 15%. Altra differenza: gli oligarchi ucraini avevano e hanno ancora in mano i posti chiavi del governo, quelli russi ne sono stati allontanati, con le maniere forti.

Da questi numeri emerge un’Ucraina mai davvero decollata dal punto di vista economico dopo il distacco dall’Urss, in mano a un gruppo ristretto di oligarchi che l’hanno depredata impedendo l’avvio delle riforme necessarie per modernizzare il Paese; un’Ucraina dove gli ultimi governi filo-occidentali non hanno puntato alla riconciliazione tra le due componenti russofona e ucrainofona, a cominciare dalla scelta di proibire l’uso della lingua russa, e dove la preoccupazione prevalente da otto anni sembra sia solo ricevere armi dall’Occidente. 

Per Bartolini e Ghini il compito più difficile sarà quello, una volta terminate le operazioni belliche – si spera presto – e qualunque sia l’esito degli accordi di pace, di ricostruire un’Ucraina unita e capace di far convivere in armonia tutte le sue diversità. Senza ingerenze esterne, da Est come da Ovest.

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