Biden che mette i bastoni fra le ruote a Trump. Putin che rilancia sul negoziato, ma alle sue condizioni. Gran Bretagna, Italia, Francia, Germania, Polonia e Spagna che si incontrano e ribadiscono il sostegno all’Ucraina, sognando una NATO più forte proprio nel momento forse di maggiore debolezza dell’Alleanza Atlantica. La strada della pace, spiega Marco Bertolini, generale della Brigata Folgore e comandante di numerose operazioni speciali in Libano, Somalia, Kosovo e Afghanistan, è ancora lunga e tortuosa, soprattutto se si mette di traverso il deep state americano, deciso a costringere Trump a continuare la guerra in Ucraina, abbandonando i suoi progetti di pace.
Putin ha ribadito la sua disponibilità a trattare, ma non sulla base del congelamento della situazione. La Russia non si smuove dalle sue posizioni?
Putin ha ribadito quello che dice dall’inizio della guerra. Non è un cessate il fuoco che può accontentarlo: pensa a un’architettura diversa della sicurezza in Europa, che tenga conto degli interessi della Russia. Vuole controllare i territori occupati, a partire dalla Crimea, e che l’Ucraina non entri nella NATO. Non credo che cambierà idea, dovrebbe giustificare davanti alla sua opinione pubblica un risultato non ottimale. La Russia, d’altra parte, sta vincendo, sta procedendo in maniera molto aggressiva nel Donbass, non ha motivi di cambiare le carte in tavola. Anche perché attende l’arrivo di Trump.
Intanto i principali Paesi europei si sono incontrati, hanno ribadito il sostegno all’Ucraina e la loro determinazione a rimanere uniti con gli altri partner in Europa e con quelli transatlantici. Non hanno ancora capito che al di là dell’Atlantico sta cambiando qualcosa?
Mi chiedo cosa significhi essere uniti con i partner transatlantici. Sembra quasi vogliano scommettere sul fatto che Trump non riuscirà ad avere la meglio sull’establishment americano, controllato da personaggi che hanno una visione del confronto con la Russia lontana dagli intendimenti del nuovo presidente. Oppure sperano che Trump cambi idea. Ma non credo possa farlo su tutto, soprattutto all’inizio cercherà di essere coerente con le posizioni espresse in campagna elettorale. Certo, non ha la bacchetta magica: il suo piano prevederebbe di rimandare a tempi migliori la decisione sull’entrata nella NATO dell’Ucraina, ma credo che Putin su questo non ci senta proprio. Non vuole accordi tipo Minsk, che, per ammissione della stessa Merkel, sono serviti solo per prendere tempo e prepararsi alla guerra.
Trump però deve fare i conti con i colpi di coda di Biden. Dopo il permesso a Kiev di usare i missili ATACMS in territorio russo, ora anche quello per l’uso delle mine. Il vecchio presidente vuole mettere in difficoltà chi lo sostituirà?
Lo sgambetto che gli ha tirato Biden motiverà ancora di più Trump a cambiare registro, anche per una questione di riscatto personale. Le mine antiuomo sono state bandite da parecchio tempo da tutto l’Occidente, ma non dagli USA: il loro uso rappresenta un’ulteriore escalation, anche se non credo sia niente di risolutivo. Sono pericolose, ma non possono fermare un esercito o cambiare le sorti della guerra.
Qual è la vera ragione di questa particolare intraprendenza di Biden?
È come se fosse caduta una maschera: Biden o chi per lui vuole la guerra. È un presidente dimezzato, escluso dalla competizione elettorale nella quale il suo partito ha comunque perso alla grande: non capisco quale autorità possa vantare per comportarsi così, mentre si dovrebbe limitare all’ordinaria amministrazione. Il provvedimento sui missili a lungo raggio, invece, è di notevole portata politica e strategica. Se insiste vuol dire che la sua parte, cioè Barack Obama, Hillary Clinton, Victoria Nuland, vuole la guerra. E non vogliono farsela scippare da Trump.
In questo contesto che senso ha la presa di posizione dei più importanti Paesi europei?
Sembra una posizione suicida. Vogliamo prendere noi la fiaccola della guerra a tutti i costi? Forse contano sul fatto che potrebbe venire inertizzato il prossimo presidente USA o incapsulato dal deep state americano. Trump pare aver previsto una cosa del genere: con le sue nomine sta cambiando molti personaggi, mettendone alcuni che fanno inorridire gli avversari, ma hanno una grande sintonia con lui.
Quindi anche gli ultimi provvedimenti di Biden sull’Ucraina possono essere visti come una ribellione del deep state a Trump?
Direi di sì. È un tentativo di mettere Trump di fronte al fatto compiuto. Putin aveva detto a suo tempo che dietro ai missili a lungo raggio ci devono essere specialisti americani o occidentali per utilizzarli. Se Biden ha permesso di usare gli ATACMS contro il territorio russo significa anche che ha deciso di mandare questi specialisti. Un ulteriore elemento che potrebbe dare il via all’escalation che metterebbe Trump con le spalle al muro. Una volta coinvolti, gli americani non potrebbero chiamarsi fuori molto facilmente. Trump per ora non ha reagito, ma ha mandato avanti il figlio, che ha dato degli imbecilli a quelli che hanno preso questa decisione.
Italia, Germania, Spagna, Francia, Polonia e Regno Unito, intanto, chiedono una NATO più forte. In realtà l’Alleanza Atlantica, in questo momento, sembra la più debole di sempre. È così?
Non c’è ombra di dubbio. Erdogan, il cui Paese ha il secondo esercito della NATO, riconosce il diritto della Russia a difendersi. In un momento come questo, la dichiarazione di un altissimo esponente dell’Alleanza Atlantica, secondo la quale chi viene unanimemente definito come aggressore ha il diritto di difendersi, è estremamente significativa. La Turchia ha detto che Ucraina e Russia sono suoi vicini, sta cercando di mantenere un equilibrio fra le parti, ma questa affermazione contraddice la narrativa corrente dell’aggredito e dell’aggressore.
I Paesi europei che si sono incontrati nei giorni scorsi ora parlano anche di spese militari superiori al 2% del PIL. Un obiettivo raggiungibile?
Ce ne dovremo fare una ragione. Che la NATO continui così o entri in crisi, dovremo pensare a strutturare meglio la nostra difesa. È ovvio che ci dovranno essere investimenti molto maggiori a livello europeo e nazionale. Fino ad ora abbiamo vissuto in una bolla nella quale ci credevamo al riparo; in realtà Libia e Balcani hanno dimostrato che la guerra fa ancora parte del nostro mondo. Sia che la NATO debba prepararsi a combattere contro gli “orchi” russi, sia che ci si voglia emancipare da questa dimensione per approcci che puntino sugli interessi nazionali, lo strumento militare è destinato a essere potenziato.
Il cammino verso la pace è molto accidentato, ma qual è il vero nodo da sciogliere per risolvere la questione ucraina?
Il nodo è l’ingresso o meno dell’Ucraina nella NATO. Credo che, fino a quando ci sarà Zelensky, però, sarà difficile fargli digerire il boccone amaro della sua mancata adesione. Probabilmente l’Ucraina avrà bisogno di forme di garanzia di sicurezza da parte dell’UE e della NATO stessa, ma credo che debba rinunciare ai territori occupati e alla prospettiva di entrare nell’Alleanza. Un passo intermedio potrebbe essere l’adesione alla UE, che tuttavia negli ultimi tempi si è differenziata poco dalla narrativa della NATO. Insomma, siamo in una situazione complessa, prima che si arrivi a una possibile soluzione passerà del tempo.
Bisognerà comunque aspettare almeno che si insedi Trump?
Sì, bisognerà vedere come si relazionerà con Putin. Sempre se ci arriva all’insediamento: ha subito già degli attentati e la sua sicurezza personale è a rischio. Non sarebbe la prima volta che un presidente scomodo viene eliminato. Speriamo che non sia così. Di fatto, dobbiamo constatare troppe opposizioni nei suoi confronti da parte dello stato profondo americano. Da parte democratica, ma anche di vecchi repubblicani come i Bush. E dall’Europa, che pare non avere ancora capito che gli USA cambieranno.
(Paolo Rossetti)
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