Il Papa potrebbe andare a Kiev e anche a Mosca, non per una mediazione politica, ma per far valere il suo ruolo nelle questioni umanitarie, per aiutare chi soffre a causa della guerra. All’interno dell’Ucraina la considerazione della Chiesa – quella greco-cattolica e quella ortodossa autocefala, staccatasi dal patriarcato di Mosca – sta crescendo: viene vista come forza morale che può aiutare il Paese a rinascere. Anche se è in corso un processo di epurazione degli ortodossi filorussi, osserva Stefano Caprio, sacerdote cattolico di rito bizantino in Russia dal 1989 al 2002, teologo ed esperto del mondo russo, ciò che conta è che la società ucraina ha bisogno di un punto di riferimento per iniziare la ricostruzione, e lo ha trovato nelle istituzioni religiose.
In vista di una trattativa, per la quale bisognerà attendere l’insediamento del presidente USA Donald Trump, vanno considerati vari elementi oltre a quelli militari: la possibilità di una crisi economica in Russia e di un cambio di indirizzo politico in Ucraina, che potrebbe verificarsi quando saranno indette le elezioni, finora negate per via della guerra.
Dopo il viaggio a Mariupol saltato nel 2022, si dice che papa Francesco potrebbe recarsi in visita in Ucraina. La data è ancora da definire e potrebbe essere associata a una visita a Mosca. Che significato avrebbe questa iniziativa?
Il Papa ha sempre dichiarato che, se andrà in Ucraina, vorrà visitare anche Mosca. Per ora non c’è nulla di definito. Di sicuro bisognerà aspettare l’insediamento di Trump. In ogni caso l’obiettivo di Francesco non è una mediazione politica, come ha ribadito la Santa Sede, ma una mediazione umanitaria per invocare la protezione dei sofferenti di tutte le guerre, siano essi ucraini o russi.
Cosa farebbe il Papa in Ucraina?
Porterebbe la solidarietà della Chiesa alle persone che soffrono, confermando l’azione umanitaria che prosegue dall’inizio del conflitto e anche da prima, durante la guerra nel Donbass: un’azione che ha riguardato i bambini e i prigionieri e che aiuta chi fugge dalla guerra. La visita sarebbe un invito a costruire pace e solidarietà con chi soffre, spingendo a smettere di fare la guerra. In questi mesi, i rapporti con le due parti sono stati mantenuti.
Con l’Ucraina, i rapporti del Vaticano erano un po’ incrinati. Il fatto che si parli di questa visita significa che sono migliorati?
Anche l’arcivescovo Shevchuk, capo dei greco-cattolici ucraini, ha affermato che i contatti non si sono mai interrotti: viene riconosciuto il ruolo internazionale della Santa Sede. La Chiesa greco-cattolica può avere posizioni diverse dal Vaticano, ma al Papa non viene contestato il tentativo di essere super partes. Il nunzio apostolico a Kiev, Visvaldas Kulbokas, è molto capace e rispettato, e protegge l’Ucraina di fronte all’invasione russa.
Il Vaticano, dunque, sta recuperando posizioni?
Considerando che tutti sperano che nel 2025 la guerra finisca in un modo o nell’altro, il ruolo della Santa Sede diventa sempre più importante per la sua vicinanza a chi ha bisogno. La Chiesa è vista come uno degli attori che può sostenere il rinnovamento morale del Paese. Gli ucraini, stanchi di una guerra infinita, vedono la pace non solo come cessazione delle ostilità, ma come possibilità di ricostruzione di un Paese distrutto.
Che ruolo hanno le Chiese presenti in Ucraina in questa fase?
La Chiesa autocefala e quella greco-cattolica sostengono molto la politica, e i politici ucraini le considerano fattori decisivi per la vita del Paese. Si sta liquidando la parte della Chiesa ortodossa legata al patriarcato di Mosca: è in atto un processo in cui ogni parrocchia, prete o vescovo deve dimostrare di non avere legami con la Russia. È un processo lungo, che valuta caso per caso.
Gli ortodossi ucraini si sono staccati da Mosca?
Molti ortodossi filorussi legati al patriarcato di Mosca si sono staccati: alcuni sono passati alla Chiesa autocefala, altri a quella greco-cattolica, altri ancora cercano l’indipendenza. Di tanto in tanto qualcuno, anche vescovi, viene arrestato con l’accusa di spionaggio per la Russia, ma sono casi isolati. In generale, oggi la Chiesa autocefala è considerata la più numerosa, seguita da quella greco-cattolica, mentre quella filo-moscovita è sempre meno rappresentata. La Chiesa è riconosciuta come forza morale per la rinascita del Paese.
Quale ruolo potrebbero avere le chiese in un auspicabile congelamento del conflitto?
Se si smette di combattere, in Ucraina bisognerà andare a elezioni, e Mosca cercherà di influenzarle a suo favore. La Chiesa può essere decisiva per preservare il popolo ucraino da propaganda e ingerenze russe.
Ci sono forze in Russia che spingono per intensificare la guerra?
Non c’è una forza politica organizzata, ma gruppi di ultranazionalisti di destra, skinheads, filonazisti, che prendono di mira chiunque non sia russo. Sono fenomeni storici che oggi riemergono per effetto della guerra. Questi gruppi, pur organizzando manifestazioni violente, non hanno riferimenti politici e la dittatura difficilmente lascerà loro spazio.
In Ucraina, quali sono le forze politiche in campo?
La figura del presidente è stata centrale, ma il contesto è cambiato. Nel 2023, il capo di stato maggiore Zaluzhny aveva suggerito di fermare la guerra, il che gli è costato un incarico come ambasciatore nel Regno Unito. Oggi Zelensky stesso ammette che il Donbass non sarà riconquistato militarmente, ma diplomaticamente. Zaluzhny, se si candidasse alle elezioni presidenziali, potrebbe essere rilevante.
Ci sono norme che limitano l’opposizione filorussa. C’è un’opposizione politica a Zelensky?
No, non c’è, anche perché c’è la guerra. Bisognerà attendere la fine del conflitto per vedere un dibattito politico, con l’elezione di presidente e parlamento. Oggi non emergono posizioni diverse da quelle di Zelensky, ma probabilmente si manifesteranno al momento del voto.
(Paolo Rossetti)
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