Le case dei suoi parrocchiani sono quasi tutte state distrutte dagli incessanti bombardamenti russi, che proseguono da quando l’esercito ucraino ha ripreso il controllo della più importante città caduta sotto l’occupazione russa. A Milano incontriamo un parroco di Kherson, sacerdote della Chiesa ortodossa ucraina, che ci ha chiesto di mantenere l’anonimato (in quanto sua madre è ancora in Ucraina). È andato via dopo che l’occupazione russa aveva causato stragi e violenze tra i civili. “Ho sempre la valigia pronta, spero di tornarci appena possibile” ci dice.
Ci spiega come nessuno, nemmeno gli ortodossi come lui che appartenevano al Patriarcato di Mosca (“Oggi tutte o quasi le parrocchie ortodosse si sono staccate da Mosca”) abbia intenzione di vivere sotto la Russia. È il primo Natale in tempo di guerra: “Sono allo stesso tempo addolorato e contento. Ma se ci pensiamo, anche il primo Natale di Gesù avvenne nella violenza, quella della strage degli innocenti. Avrei voluto un Natale diverso, ma il Signore prepara per ciascuno un cammino e dobbiamo percorrerlo”.
Lei è in Italia da quando, esattamente?
Kherson è stata la prima importante città ucraina occupata dai russi già il 2 marzo, pochi giorni dopo l’inizio dell’invasione. Tutti quelli che sono potuti andare via lo hanno fatto pochi giorni dopo, i miei parrocchiani se ne sono andati quasi tutti. L’occupazione russa è stato un periodo molto doloroso e tragico, la gente di Kherson è scesa in strada per protestare contro la presenza dell’esercito russo. C’è stata repressione, ci sono stati violenze e morti. Ero moralmente distrutto da tutto quello che avevo vissuto e quando ad agosto c’è stata la possibilità, ho pensato di allontanarmi per riprendermi. Immediatamente dopo, il ponte che collega la città è stato distrutto e non sono più potuto tornare indietro.
A noi qui in Occidente è sempre stato detto che nel Donbass, ma anche in tutta l’Ucraina, la gente aspettava la liberazione da parte dei russi da un regime che impediva loro di vivere dignitosamente. È così? Esistono davvero ucraini che vogliono diventare parte della Russia?
Tra i miei parrocchiani, che sono ortodossi, non c’è nessuno che voglia vivere sotto la Russia.
Molte parrocchie ortodosse si sono staccate dal patriarcato di Mosca. Lei come sacerdote ortodosso come vive questa frattura?
Dopo l’invasione russa e il sostegno dato dal Patriarcato di Mosca, tutte le parrocchie ortodosse in Ucraina si stanno staccando da Mosca. Sono pochissime quelle che vogliono ancora avere un rapporto con il Patriarcato russo.
Le autorità ucraine hanno effettuato perquisizioni in molti monasteri ortodossi, dove si nasconderebbero spie e agenti filo-russi. Come considera questo gesto, un affronto alla sua chiesa?
Rispondo per quello che so io. Quando è scoppiata la guerra c’era gente che veniva da me a chiedere da mangiare o soldi per emigrare. Un centinaio di persone ha chiesto di dormire in parrocchia, perché avevano paura a dormire nelle case per via dei russi. Io non so che piano avessero o da che parte stessero quelli che ho nascosto, sapevo che avevano bisogno di essere aiutati, di essere difesi dai russi. Non mi sono posto il problema, li ho solo accolti.
È in atto una profonda divisione nella Chiesa ortodossa?
C’è un grave problema che sta attraversando la Chiesa ortodossa. Prima della guerra esistevano il patriarcato di Kiev, quello di Mosca, poi è nata la Chiesa ortodossa autocefala ucraina. Oggi si comincia a scoprire che non esiste alcun documento che stabilisca la dipendenza della Chiesa ortodossa ucraina da quella di Mosca. Era solo una consuetudine, non un atto ufficiale. Oggi nella celebrazione delle nostre liturgie ci rifiutiamo di citare il Patriarca di Mosca, ma prima della guerra lo ricordavamo.
Come sono i vostri rapporti con la Chiesa cattolica e il Papa? Da parte ucraina Bergoglio è stato accusato di non aver preso una parte precisa a favore di Kiev.
Posso dire la mia esperienza, non sono un portavoce della Chiesa ucraina ortodossa. In seminario ci hanno insegnato che la Chiesa cattolica è una chiesa da rispettare e da riconoscere. La Chiesa ortodossa riconosce come validi i sacramenti della Chiesa cattolica, la differenza è solo teologica. Ho molta stima di papa Francesco, leggo spesso le sue omelie, e mi colpisce il suo modo di agire come uomo e come capo della Chiesa cattolica. Per quanto riguarda la guerra, il Vaticano giustamente deve stare molto attento a come si esprime, non c’è in gioco solo la guerra, ma molto di più. Quando Francesco parla, i giornalisti spesso travisano le sue parole, cambiandone il significato autentico. Io posso dire che i miei amici cattolici in Italia hanno accolto molte famiglie ucraine e io stesso sono stato accolto con mio figlio qui a Milano.
Come è la situazione a Kherson?
Più della metà della regione circostante è senza elettricità da quasi due mesi. La mia parrocchia è stata bombardata cinque volte, la chiesa è ancora in piedi, ma le case no, ci vive ancora mia madre che non ha voluto lasciare la chiesa che lei e mio padre avevano costruito. Kherson viene bombardata tutti i giorni: quando i russi si sono ritirati per una settimana la situazione era tranquilla e c’era l’illusione che sarebbe rimasto così, poi si sono messi a bombardare.
Voi ortodossi celebrate il Natale il 7 gennaio e la guerra non sarà finita neanche per allora. È il primo Natale con la guerra, si sarebbe mai aspettato di vivere una situazione così?
Quando è nato Gesù ci fu la strage degli innocenti, anche il primo Natale non è stato meno feroce di questo. Spesso mi sento abbandonato, ma percepisco l’amore di Dio attraverso gli amici che ci hanno accolto. Ho dei sentimenti confusi tra il pianto e l’essere contento. Avrei voluto un Natale diverso, ma il Signore prepara per ciascuno un cammino e dobbiamo percorrerlo.
Noi in Occidente viviamo il Natale nel consumismo, nella distrazione, nella ricerca del piacere a ogni costo. Voi, il popolo siriano e anche le famiglie russe che hanno perso dei figli in guerra lo vivete nel dolore. Che cosa significa Natale oggi?
Fino a quando non è successo a me le tragedie degli altri non mi toccavano. Adesso ho capito che non ero attento nei confronti di chi soffre. Un amico mi ha mandato la citazione di un sacerdote protestante, Martin Niemöller, che dice: “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”. Spero che tutti quelli che leggeranno questa intervista potranno pregare per la pace nei cuori di tutti.
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