La Svizzera, intermediario, e la Cina che fa da ponte con la Russia. Potrebbe essere questa la strada maestra per riuscire finalmente a intavolare trattative di pace per mettere fine alla guerra in Ucraina. L’idea aveva fatto capolino per la prima volta in occasione del World Economic Forum di Davos, ma ora si sta cercando di fare qualche passo concreto in questa direzione. Il ministro degli Esteri elvetico, Ignazio Cassis, è stato a Pechino per cercare di convincere i cinesi a dare una mano, coinvolgendo, naturalmente, anche i russi. Non ha ancora avuto risposta, ma intanto la proposta è sul tavolo e Xi Jinping potrebbe farci più di un pensiero.
Certo, poi Kiev, come spiega Vincenzo Giallongo, colonnello dei carabinieri in congedo con al suo attivo missioni in Iraq, Kuwait, Albania e Kosovo, dovrebbe accettare di perdere territori in favore dei russi, in cambio magari di promesse concrete per la ricostruzione e dell’ingresso nella UE e nella NATO. Un percorso tutto da costruire, ma che ormai verrebbe preso in considerazione da Zelensky, viste le difficoltà della guerra e il no di ieri sera del Senato USA al disegno di legge da 60 miliardi appoggiato da Biden, nonostante la decisione UE di mandare 50 miliardi di euro di aiuti; il cui arrivo, tuttavia, sarebbe diluito nel tempo, mentre l’Ucraina ha bisogno di sostegno subito.
Colonnello, questa idea del coinvolgimento della Cina nelle trattative potrebbe essere quella giusta?
Zelensky è in grossissima difficoltà. Non saranno i 110 miliardi di armamenti, 60 in dollari americani dagli USA (ieri il Senato ha bocciato il disegno di legge, nda) e 50 in euro dalla UE, che gli risolveranno il problema. Lo hanno capito anche i russi, che, grazie anche al lavoro dei loro servizi segreti, hanno colto il momento di debolezza del nemico, intensificando gli attacchi con droni e missili. Il presidente ucraino potrebbe aver capito che è arrivato il momento di sedersi e cercare di portare a casa una pace onorevole. Per farlo, avrà parlato con gli svizzeri, che non fanno parte della UE e sono interlocutori credibili.
La Cina accoglierà l’invito a impegnarsi nei colloqui di pace?
Sicuramente. Non le conviene questo stillicidio di guerre da tutte le parti, con il rischio di essere vista male dagli europei e di incorrere in possibili ripercussioni commerciali. Non lo confermerà mai nessuno, ma i cinesi, in Italia come in Europa, cominciano a dover affrontare delle difficoltà nei ricongiungimenti familiari. La Cina, d’altra parte, non è mai stata una guerrafondaia; dalla Seconda guerra mondiale in poi ha fatto esercitazioni, ha rivendicato Taiwan, ma non ha mai sparato a nessuno. Invece, se parliamo delle guerre fatte da inglesi e americani nello stesso periodo, forse perdiamo il conto. Sono quasi sicuro che Pechino darà una mano a Berna a risolvere il problema.
Riusciranno i cinesi a portare al tavolo di pace i russi?
Se decidono di farlo, penso di sì, anche perché ci guadagnerebbero in immagine. Se i russi non si siederanno al tavolo, sarà esclusivamente una loro scelta.
Come deve cambiare atteggiamento l’Ucraina per sfruttare questa eventuale occasione?
Deve rassegnarsi a cedere una parte di territorio. Non ha la forza di vincere. Se dovesse vincere Trump nelle presidenziali, gli USA potrebbero abbandonarla al suo destino; se dovessero imporsi i conservatori nella UE, ci sarebbero meno aiuti. Quindi deve approfittare dell’occasione. Dovrà negoziare una ricostruzione a costo zero, un ingresso agevolato in Europa e concordare un ingresso nella NATO quasi immediato.
I russi la lascerebbero entrare nella NATO? Potrebbero accettare questa condizione?
A questo punto, si sono presi quello che volevano e l’Ucraina, come Stato sovrano, può rivendicare di schierarsi come vuole.
Zelensky ha fatto votare in prima lettura in parlamento la discussa legge sulla mobilitazione militare, per dare più consistenza al suo esercito. Si muove su due binari paralleli?
Non è un passo in contraddizione con i possibili colloqui di pace: non sappiamo ancora se si siederanno effettivamente al tavolo di trattative, che potrebbero anche fallire. Anzi, è un modo per far capire ai russi che gli ucraini non hanno così tanta paura.
Fino ad ora, però, il presidente ucraino ha parlato della vittoria come unica soluzione possibile. Come potrà fare retromarcia?
La farà. Le parole sono una cosa, la realpolitik un’altra. Ne uscirà benissimo: potrà dire che ha resistito fino a che ha potuto e che poi, quando ha visto che non aveva il sostegno sufficiente, ha dovuto fare altre scelte, cedendo territori per evitare guai peggiori al Paese. Uscirebbe malissimo da uno scontro definitivo con i russi.
L’alto rappresentante per gli affari esteri della UE, Joseph Borrell, ha detto che entro la fine dell’anno l’industria bellica europea riuscirà a dare oltre un milione di munizioni all’Ucraina. Non è che l’Europa rischia di arrivare a guerra finita?
Questo è il problema della UE: dopo gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso, inglesi e americani si sono organizzati e hanno risposto, gli europei stanno ancora organizzando la loro missione. Eppure sono le nostre merci che passano di lì. La UE, oltre a essere un grande mercato interno, non è unita. Per raggiungere questo obiettivo bisogna rispolverare Carlo Cattaneo e il suo federalismo. La politica attuale non è stata in grado di dare coesione e, se dovessero vincere conservatori e populisti, prevarranno gli interessi dei singoli Paesi. L’Europa non agisce con prontezza, fa un gran parlare ma manca di concretezza. Abbiamo sempre demandato la nostra difesa ad americani e inglesi, ma bisogna crescere, non si può restare sempre bambini.
(Paolo Rossetti)
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