La guerra di aggressione russa all’Ucraina procede e divamperà più intensamente che mai, con la fine dei fanghi dell’inverno e la possibilità di riprendere da parte russa l’offensiva, sulla base della mobilitazione generale che pare sempre più inevitabile. L’ora delle decisioni è suonata. Tutti corrono ad armarsi e pare non vi sia più spazio per un negoziato. L’Ucraina pare così destinata a essere sempre più un antemurale contro l’imperialismo sciovinista grande-russo. Così sarà inevitabile il continuare sino all’estremo la dottrina Primakov, che si pone in gioco ogni volta che si vede – o si crede di vedere – minacciato il futuro stesso della Russia.



Così, ogni volta, da un multipolarismo di equilibrio di potenza continuamente ricercato – così da ricacciare lontano dai confini russi l’Occidente (a questo servono sia l’accordo tattico e mai strategico con la Cina e la sfida della deterrenza nucleare) – si passa a una minaccia contro l’Occidente medesimo, come si fece con la prima guerra europea dopo la Seconda guerra mondiale iniziata in Ossezia nel 2008 e poi proseguita in Crimea nel 2014. Guerra di aggressione russa in risposta alla politica di allargamento della Nato a est e all’espansione dell’Ue nei Balcani dopo i bombardamenti Nato del 1999 della Serbia.



Sappiamo che il rapporto tra la Russia e la Nato ha avuto fasi alterne. Eltsin e Primakov pensarono addirittura che un’adesione alla medesima potesse essere utile per favorire la modernizzazione nel post-crollo dell’Urss, sino a quando nel 1999 – appunto – la Nato bombardò la Serbia e iniziò allora la rielaborazione di una nuova versione della dottrina secolare della diplomazia “grande-russa”, fondata sull’eccezionalità non della Russia, ma dell’Occidente e sulla superiorità anche morale della Russia ortodossa rispetto alla decadente Europa e degli ultra-decadenti Usa. Così com’era avvalorato dalla stessa Chiesa moscovita, non a caso impegnata in un scisma pericolosissimo con la stessa Chiesa ortodossa ucraina.



In questa luce il conflitto russo-ucraino travalica i confini dell’Ucraina e della Russia sin dal primo suo porsi e doveva, quindi, essere affrontato sin da subito per quello che esso è: una manifestazione della crisi dell’euro-asiatismo grande-russo, crisi che significa la vittoria delle spinte asiatiche rispetto a quelle europee ed europeizzanti, come prefigurò Vittorio Strada nei suoi ultimi anni di vita e di infaticabile lavoro storico-teorico.

L’inclusione delle nazioni balcaniche nell’Ue fu ed è sempre stato inteso dalla Russia come una minaccia portata alla sua integrità non nazionale, ma imperiale. È questo il punto: non si tratta di una guerra tra nazioni, ma tra nazioni di cui una di esse è impero perché impero storicamente e tradizionalmente si sente. Per questo occorrerebbe contrastare il revanscismo con una politica diplomatica a ciò acconcia e per questo occorrerebbe iniziare sin da subito a ragionare con gli aggrediti ucraini sul fatto che il futuro dell’Ucraina non potrà non essere quello di un ponte e non di un muro tra la Russia e l’Occidente.

Se così non sarà, la guerra non finirà mai e la lotta interna al sistema di potere ucraino si scatenerà con sempre più violenza. Così come quella nella poliarchia oligarchica russa. Per questo abbiamo assistito sconcertati e sconvolti alla recente riunione dell’Ue in Ucraina dove si invocava a gran voce l’adesione dell’Ucraina alla Nato e all’Ue. Si vuole seminare denti di drago e si raccoglierà solo tempesta.

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