Allora ha vinto Trump, anzi, ha stravinto Trump. I democratici, non solo quelli americani, non sono tanto contenti, ma invece di farsi un po’ di sana autocritica dicono che tutta la colpa è di Biden. Per fortuna che lui questo non lo sa, forse non sa ancora che ha vinto Trump e forse è meglio non dirglielo neppure. Lasciamolo in pace! Poi c’è Zelensky, che ufficialmente non si era schierato con nessuno dei due candidati alla presidenza USA, però tutti sapevano che era imparziale come certi giudici di Magistratura democratica (è un caso che si chiami così?).
La sua mini-invasione della Russia, come avevamo previsto, non sta andando bene. Ora sono anche arrivati, pare, migliaia di soldati nordcoreani, venuti a difendere il sacro suolo dell’alleato russo. La loro presenza, forse nessuno tranne noi l’ha notato, è una provocazione anche per gli alleati della Russia del CSTO. Infatti, quando la Russia ha invaso il territorio dell’Ucraina, hanno detto subito che non essendo una guerra difensiva, loro (kazaki, kirghisi, eccetera) non si sentivano impegnati a partecipare. Ora che la Russia è stata “invasa”, perché dovrebbero negare il loro apporto all’alleato? In più ha vinto Trump, l’ora di una pace “giusta” si avvicina e non essere presenti al tavolo delle trattative potrebbe essere una scelta troppo rinunciataria. Speriamo che non vogliano rifiutare (di sedersi al tavolo delle trattative) anche gli alleati europei dell’Ucraina, soprattutto adesso che anche loro potrebbero essere presto “mollati” da Trump. Quello che era un grande amore per l’America rischia di tramutarsi, come in tante crisi familiari, in una semplice civile amicizia.
E la gente? La gente che ha sofferto, che ha non ha più niente, che ha perso migliaia e migliaia di amici e parenti, nonché miliardi di dollari di beni materiali? Una pace giusta, comunque la si ratifichi, non può prescindere dal dolore di questa gente, russa o ucraina, israeliana o palestinese, perché da questo dolore possa nascere una specie di speranza.
Ricordo che il 24 settembre 2001, pochi giorni dopo la tragedia delle Torri gemelle di New York, Papa san Giovanni Paolo II, parlando all’Università nazionale euroasiatica di Astana, disse ai giovani del Paese: “Avete vicende diverse alle spalle, non prive di sofferenza, siete qui seduti l’uno accanto all’altro, e vi sentite amici non perché avete dimenticato il male che c’è stato nella vostra storia, ma perché giustamente vi interessa di più il bene che potrete costruire insieme. Non c’è infatti vera riconciliazione, che non sfoci generosamente in un impegno comune”.
In una fase di preparazione del suo discorso gli avevo detto che nell’aula magna dell’università ci sarebbero stati una ragazza il cui nonno era stato internato in un lager e un ragazzo la cui nonna era il vicecomandante di quel lager. Studiavano nel mio gruppo ed erano diventati amici davvero.
Chissà se un giorno potremo sentire le stesse parole rivolte ai russi e agli ucraini, agli israeliani e ai palestinesi.
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