Nel parlamento ucraino 267 deputati hanno votato a favore di una legge che vorrebbe mettere al bando la Chiesa russa ortodossa in Ucraina. Certo questa legge, per entrare in vigore, deve essere anche ratificata dal presidente Zelensky, ma il fatto è già in sé grave. Nonostante ciò non ha avuto un gran risalto nell’opinione pubblica mondiale, preoccupata da altri eventi di guerra. A Kiev si addebita alla Chiesa russa ortodossa, che storicamente è un tutt’uno con la Chiesa ortodossa in Ucraina, una responsabilità di appoggio al Governo della Federazione Russa che semmai dovrebbe essere addebitata a singole persone per fatti precisi.
Già da tempo nel Governo ucraino, a causa della invasione russa e delle violenze perpetrate da esponenti dell’esercito e da mercenari “benedetti” dal patriarca Kirill, è cresciuta una forma di ostilità a tutto ciò che sa di russo. Certamente questo risentimento è stato accresciuto dal fatto che una parte della popolazione, ucraina, e una parte del clero, anche prima della guerra, erano dichiaratamente favorevoli più a Putin che all’Occidente.
Tra loro è assai probabile che alcuni si siano comportati come sostenitori dell’invasore e, se si sono concretamente macchiati di episodi di tradimento, è giusto che siano perseguiti. Il semplice dissenso, più o meno condivisibile, con le scelte politiche del Governo non giustifica la decisione politica di rompere l’unità della Chiesa ortodossa. E questa situazione non può certo rallegrare la Chiesa cattolica, da sempre impegnata a riaffermare l’unità dei cristiani. Nel dialogo, comunque necessario con la Chiesa di Mosca, anche nella prospettiva della pacificazione, si può tener conto che, ad esempio, la Diocesi di Milano, che da molti anni ha concesso una dozzina di chiese per il culto degli ortodossi del Patriarcato, anche dopo la guerra non gliene ha tolta nessuna.
In compenso ne ha concessa una in accordo col metropolita di Kiev in cui si può celebrare la divina liturgia senza ricordare nel canone esplicitamente il patriarca Kirill, ma più genericamente “i patriarchi”. Purtroppo c’è anche da osservare che tra i deputati anti-russi più accesi ce ne sono alcuni appartenenti alla Chiesa cattolica di rito orientale (detta greco-cattolica). È giusto ricordare d’altra parte che questa comunità cattolica di rito orientale subì la repressione di Stalin dopo la seconda guerra mondiale quando una parte della popolazione ucraina, in cui erano presenti molti suoi esponenti, fu accusata di collaborazionismo coi nazisti.
In verità, a parte alcuni casi in cui questa accusa era giustificata, ad esempio il carattere antisemita di alcuni esponenti di questa comunità, l’appoggio dato inizialmente all’invasore tedesco, e all’alleato italiano, derivò dal fatto che molti ucraini, non solo della comunità greco-cattolica, vivevano ancora con il ricordo dell’Holodomor, cioè del genocidio per fame operato da Stalin. Comunque quello che è avvenuto nel Parlamento ucraino non è certo un passo che va nel senso di chi vuole la pace e la riconciliazione, ed è innanzi tutto un’ennesima rottura dell’unità dei cristiani.
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