Non v’è dubbio che l’imponente e fluviale discorso di Putin alla nazione abbia un peso storico paragonabile ad altri storici discorsi, come la denuncia di Krusciov dei crimini di Stalin o di Gorbaciov sulla Perestroika. La differenza radicale è che le accuse rivolte dal leader al proprio passato si riverberano sull’esterno: un mondo esterno chiamato in correità degli errori di cui si sono macchiati i dirigenti del bolscevismo. Non è la prima volta che Putin riscrive la storia, ma come detto finora le reprimende erano rivolte alle menti russe. Ora no: il mondo deve sapere che la vera storia della Russia non è quella che è passata sotto le forche caudine della Rivoluzione.
Qui la Storia ha deviato falsificando la realtà. In un certo senso Putin abbandona Marx, che pretendeva di rovesciare l’ideologia tedesca riportando i piedi dell’umanità a calcare la terra reale della politica, per ritrovare Hegel, lo spirito assoluto. La Russia, la Vecchia Russia, di cui fa parte integrante l’Ucraina, dice Putin nel discorso, è uno “spazio spirituale”. Marx, Lenin, Stalin, la Rivoluzione bolscevica hanno diviso la Russia spezzettandola in tanti corpi autonomi, quasi che nel passaggio dall’Idea alla natura terrestre la Russia si sia corrotta. Il percorso di degenerazione ideale è rigettato in blocco da Putin: la nuova statualità uscita dal 1917 è un grande inganno. Sia Lenin che Stalin per “mantenere il potere ad ogni costo” hanno introiettato elementi di autonomizzazione di parti del territorio (le repubbliche sovietiche intese come unità amministrative territoriali) e di nazionalismo localistico che rappresentano la falsa coscienza della Russia.
Ora questa falsa coscienza bolscevica deve essere “decomunistizzata”, epurata delle sue basi fondamentali, riportata nella realtà dell’Idea dove trova la sua vera essenza. L’essenza della Vera Russia è semplicemente il Tutto. La parte, nel caso specifico l’Ucraina, è la negazione del Tutto. Ecco in proposito un passaggio del discorso: “Le autorità ucraine hanno cominciato a costruire la loro statualità sulla negazione di tutto ciò che ci unisce, hanno cercato di distorcere la coscienza e la memoria storica di milioni di persone”. Ma l’Ucraina, sostiene il leader, non ha mai avuto una tradizione statale stabile. Volerne fare uno Stato è un errore storico, un tradimento delle origini, una scelta ideologica che ha spostato l’Ucraina verso l’Occidente e la sua matrice tendenzialmente nazista, quantomeno russofoba. La scelta ucraina di separarsi dal Tutto ha comportato la diffusione nel Paese “del virus del nazionalismo e della corruzione”.
La corruzione è la sorgente delle proteste di Majdan del 2014 “sostenute materialmente dall’ambasciata americana per un milione di dollari al giorno”. La corruzione si è trasformata in terrore usato contro gli oppositori delle rivolte di Majdan: “Politici, giornalisti e personaggi pubblici sono stati derisi e umiliati pubblicamente, le città ucraine travolte da un’ondata di pogrom, a Odessa manifestanti pacifici assassinati e bruciati vivi”.
Nella degenerazione filo-occidentale, cioè nel processo di separazione dal Tutto, l’Ucraina si è anche impoverita economicamente. E qui Putin rimanda l’accusa che un tempo si indirizzava all’Urss: è questo il paradiso promesso all’uomo? Ecco la citazione dal discorso: “E ci si chiede: la povertà, la disperazione e la perdita di capacità industriali e tecnologiche è la stessa scelta di civiltà filo-occidentale che ha ingannato e inganna milioni di persone da anni, promettendo loro il paradiso?”. Lo svuotamento dell’Ucraina è economico, ma anche culturale e religioso.
L’Ucraina continua ad essere “derussificata” cioè separata dalla sua matrice: “Le persone russe che vorrebbero preservare la loro identità sono estranee in Ucraina”; “Kiev continua a perpetrare il massacro della Chiesa ortodossa ucraina” (con riferimento alla nascita nel 2018 della Chiesa autocefala ortodossa ucraina).
L’ultima parte del discorso, su cui non insistiamo perché più nota, è dedicata al pericolo rappresentato dall’attuale strategia militare ucraina che spostandosi verso la Nato sta per “sviluppare proprie armi nucleari” e con la comparsa di “armi di distruzione di massa la situazione del mondo cambierà drasticamente”.
Ecco perché, ammonisce Putin, “non possiamo non reagire a questo pericolo reale”. Come? In due modi. Il primo è stato reso palese dall’annessione delle pseudo-repubbliche separatiste di Donetsk e di Luhansk (Donbass). Una misura che Putin giustifica come reazione all’allargamento a est della Nato. Il secondo è più raffinato, consistente nell’uso del passato per ripulire il presente dalle sue scorie. Ricorda Putin: le pietre miliari della (nostra) storia sono dimenticate. Al fondo di tutte le questioni, freudianamente, emerge un grido o un ammonimento rivolto all’Occidente: “Non ci volete come amici e alleati, ma perché farci nemici?”. La risposta la offre lo stesso presidente: gli americani e tutti i loro soci “non hanno bisogno di un Paese così grande e indipendente come la Russia”.
Sono parole che sfiorano quasi temi palingenetici: il bisogno di Russia, di ritorno alle radici populiste, attraversa la letteratura russa. Peccato che non si possano meccanicamente trasformare in un programma politico: l’ideal-tipo è un modello, non un nuovo letto di Procuste. In caso contrario, se fosse una gabbia, se la Russia pretendesse di essere un Tutto politico, saremmo sull’orlo di una nuova tragedia totalitaria.
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