“IL VOTO DEL PARLAMENTO UE RISCHIA DI GENERARE UNA GUERRA NUCLEARE”: COSA È SUCCESSO A STRASBURGO E COSA DICE LA RUSSIA
Per capire la portata del voto di oggi del Parlamento Ue sulla guerra in Ucraina – che in sostanza dà via libera all’uso di armi a lungo raggio contro la Russia – occorre partire dal fondo, ovvero dalla replica durissima di Mosca: «Ciò che chiede il Parlamento europeo conduce verso una guerra mondiale con armi nucleari». A parlare è il presidente della Duma, il parlamento russo, Viaceslav Volodin commentando il voto dell’Eurocamera che porta il livello dello scontro fra Occidente e Russia ai minimi storici.
È in particolare il paragrafo 8 della risoluzione sul sostegno generale all’Ucraina a scatenare polemiche e divisioni che coinvolgono in pieno anche i partiti italiani: divisi al loro interno quasi tutti (tranne Lega e M5s), divisi anche i vari gruppi europei tra le diverse componenti nazionali. Il risultato è che la maggioranza dei parlamentari italiani in maniera trasversale vota contro l’utilizzo di armi a lungo raggio da inviare all’esercito ucraino così da poter colpire obiettivi in Russia, mentre a livello generale non manca il sostegno e il supporto a Kiev in tutti gli altri settori della difesa ucraina. Nei termini specifici di quanto approvato invece, il paragrafo della discordia invita gli Stati membri a revocare le restrizioni sull’uso di armi (e materiale bellico-militare) di produzione occidentale contro obiettivi sul territorio russo: la posizione del Parlamento Ue (su richiesta di Kiev e spinta della NATO) è che con le forniture insufficienti di armi si rischia di annullare gli sforzi finora compiuti dall’Occidente per aiutare Zelensky nella guerra contro la Russia di Putin. La risoluzione approvata non è vincolante ma è il messaggio politico passato che rischia di aumentare ancor di più la frattura diplomatica fra Europa, Occidente e Mosca: «senza l’abolizione dei limiti sulle armi», si legge nella risoluzione approvata questo pomeriggio a Strasburgo, «l’Ucraina non può esercitare pienamente il suo diritto all’autodifesa e rimane esposta ad attacchi contro la popolazione e le infrastrutture».
IL VOTO SULLE ARMI “SCORPORATO” DAL SOSTEGNO ALL’UCRAINA
Tante le divisioni politiche viste nel voto in Parlamento Ue sul sostegno all’Ucraina ma alla fine sono 415 i voti a favore, 131 contrari, 63 gli astenuti: così la maxi risoluzione di sostegno a Kiev passa in blocco, mentre nel merito della risoluzione sulle armi, diminuisce il carico della maggioranza ma passa ugualmente, con 377 favorevoli,191 i contrari, 51 astenuti. Un voto “scorporato” richiesto per mettere in luce le eventuali diverse posizioni su un tema molto complicato e che rende la Russia furente per l’avvallo dei Paesi europei a permettere l’invio di armi e missili a lungo raggio contro obiettivi sensibili militari.
Da giorni i Governi internazionali – come hanno dimostrato i voti oggi in Parlamento Ue – sono spaccati sul permettere l’ultimo passo che separa una guerra “locale” da una molto più ampia, come minaccia Putin: l’Italia del Governo Meloni si è detta contraria ad inviare le armi in Ucraina per colpire la Russia, così come la Francia, mentre Germania e UK spingono per levare ogni ultimo ostacolo nella guerra totale contro Mosca. All’interno della NATO il segretario uscente Stoltenberg invita a sostenere Zelensky armando di tutto punto gli ucraini mentre la presidenza Biden-Harris ancora non si è espressa con chiarezza, temendo probamente ancora le conseguenze che potrebbe avere un avvallo di armi a lungo raggio contro la Russia. «Noi non siamo in guerra con la Russia», ha detto il Ministro degli Esteri Antonio Tajani a margine di una conferenza stampa con il leader del PP spagnolo Alberto Nunez Feijòo a Roma. Eppure a vedere (qui sotto) come hanno votato i gruppi parlamentari, a cominciare proprio da Forza Italia, la situazione politica è molto più complessa di quanto si poteva pensare dopo la precedente risoluzione pro-Ucraina dello scorso luglio.
CHI HA VOTATO E COME SULL’INVIO DELLE ARMI A LUNGO RAGGIO ALL’UCRAINA DA USARE CONTRO LA RUSSIA
Provando a fare un po’ di chiarezza tra voti incrociati, cambi di posizione e “scorporo” delle votazioni su risoluzione e invio delle armi, lo scenario che si apre davanti ai voti del Parlamento Ue di oggi 19 settembre 2024 vede i seguenti punti fermi: Lega e M5s (e AVS) hanno votato convintamente contro la risoluzione sia delle armi che quella generale sull’Ucraina; Fratelli d’Italia ha votato a favore del sostegno Ue a Kiev, mentre ha votato del tutto contro sul tema delle armi; Forza Italia e Pd si sono spaccati tanto sul primo quanto sul secondo voto.
Le posizioni date dai partiti nazionali erano solo in parte chiari: Tajani si è unito a Meloni e Salvini nel ritenere l’invio delle armi a lungo raggio in Ucraina un passo eccessivo, pur sostenendo Zelensky nel conflitto contro Putin. Ma all’interno di Forza Italia non tutti hanno seguito l’indicazione centrale; nel Pd invece la linea di Schlein non è stata dettata, in quanto le posizioni sulla guerra già sono esempio di dibattito e scontro interno tra le diversi correnti Dem. Entrando nelle pieghe dei singoli voti, sulla risoluzione con paragrafo 8 hanno votato contro gli europarlamentari Pd vicini alla segretaria Elly Schlein, ovvero Ricci, San, Zingaretti, Benifei, Decaro e Laureti, mentre a favore si sono espresse Picierno e Gualmini. Sempre a favore della risoluzione, in dissenso dal partito che ha puntato sul “no”, i due forzisti Marco Falcone e Massimiliano Salini: nel primo caso si segnala la richiesta del parlamentare di correzione per aver sbagliato il voto, per il membro del PPE eletto nella circoscrizione Nord Ovest invece è convinto il voto pro-Kiev anche per le armi a lungo raggio. La Lega, che a parte di Patrioti per l’Europa, ha annunciato e mantenuto il voto coerente contro sia il sostegno Ue all’Ucraina che tanto più sull’emendamento delle armi contro Mosca: si spacca il gruppo The Left (l’ex capitana Carola Rackete vota a favore). Da ultimo, il Pd si è spaccato anche sul voto finale per il supporto Ue all’Ucraina: Cecilia Strada e Marco Tarquinio si sono opposti non solo sulle armi ma anche sul resto delle risoluzioni, in dissenso dal resto del Partito Democratico.