Nel corso della recente videoconferenza tenuta con il Segretario di Stato americano Antony Blinken, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha di fatto preso posizione sulla crisi ucraina. Wang ha dichiarato che Mosca è mossa da “legittime preoccupazioni per la sicurezza” e che i suoi timori vanno “presi sul serio”. Una posizione che segna l’ingresso della Cina nelle questioni relative alla sicurezza regionale europea, che per il ministro degli Esteri cinese non può essere tutelata “rafforzando o addirittura espandendo i blocchi militari”.
Il governo di Pechino, quindi, affianca completamente Mosca sulla questione dirimente l’ingresso dell’Ucraina nella Nato. La crisi ucraina rappresenta un’occasione imperdibile per il governo cinese che, se da un lato si augura che le tensioni crescenti fra Russia e paesi Nato distolgano l’attenzione dal teatro dell’Indo-Pacifico, dall’altro auspica che possano rappresentare un test grazie al quale capire le reali intenzioni degli Usa di rispondere all’invasione di un territorio conteso. Oggi l’Ucraina, domani Taiwan.
Non è un caso che alle dichiarazioni sull’Ucraina abbiano fatto seguito quelle sul rischio che gli Usa possano boicottare le Olimpiadi invernali e naturalmente quelle su Taiwan, con l’esplicito invito di Wang a “non scherzare con il fuoco”. Dichiarazioni che palesano la portata globale della partita che si sta giocando in Ucraina.
Molti analisti hanno visto nei recenti avvenimenti la prova che la postura dei paesi occidentali stia spingendo la Russia fra le braccia cinesi, ma di fatto non si può non registrare la polarizzazione che interessa tutti gli attori regionali: Svezia e Finlandia probabilmente non sono mai stati così vicine alla Nato, mentre la relazione russo-cinese si mostra più salda che mai.
Quello che sembra caratterizzare la crisi in atto è la compresenza di due fattori apparentemente contrastanti, ovvero l’utilizzo strumentale dell’esibizione della forza a fronte della mancanza di una reale volontà di compiere un intervento militare e l’impossibilità di raggiungere un accordo fra le parti valido nel medio e lungo periodo. Una situazione in cui all’inconciliabilità apparente delle posizioni si accompagna un bluff prolungato e alimentato da rischiosi rilanci. Una posizione che palesa la difficoltà degli attori coinvolti di trovare un equilibrio in grado di stabilizzare la regione, che in una fase di aperta competizione e riconfigurazione dei rapporti di forza può essere garantito solo da una potenza egemone. Un contesto che, a differenza dei paesi occidentali, Russia e Cina sembrano aver capito.
La convergenza degli interessi russi e cinesi si basa, sostanzialmente, sulla certezza che il ritiro dall’Afghanistan ha chiuso la fase del dominio unipolare e che siamo entrati in un’epoca di transizione, che porterà a un nuovo equilibrio multipolare. In questa prospettiva Russia e Cina rafforzano la presa sulle proprie “aree di influenza”, provando a edificare quello che il Financial Times recentemente ha definito come un Nuovo Ordine Mondiale basato su grandi potenze regionali.
Un gioco che alla lunga, però, finirebbe per avvantaggiare solo Pechino, che all’interno della dinamica delle relazioni sino-russe potrebbe far pesare la propria economia, considerevolmente più grande di quella del proprio partner.
I dati recenti sembrano confermare questa realtà. Infatti, secondo le ultime statistiche dell’Amministrazione generale delle dogane cinese, citati da Nikkei Asia, il volume dei commerci fra Russia e Cina ha raggiunto nel 2021 il proprio massimo storico, arrivando a 146,88 miliardi di dollari, in crescita del 35,8% rispetto all’anno precedente. Un rapporto sbilanciato a favore della Cina, che nel 2021 rappresentava il 18% del fatturato commerciale complessivo della Russia, la quale dal canto suo rappresentava poco più del 2% del complessivo fatturato commerciale cinese di 6,51 trilioni di dollari.
Un rapporto che è destinato a rinsaldarsi una volta che la crisi in Ucraina dovesse portare a nuove sanzioni occidentali e al blocco di Nord Stream 2. Misure che potrebbero avere come conseguenza il rafforzamento del gasdotto Power of Siberia e quindi l’aumento esponenziale delle esportazioni di gas verso la Cina.
Ad ogni modo, se il rapporto sino-russo punta poco realisticamente a ridurre gli Stati Uniti a semplice potenza atlantica, la primazia futura spetterà a chi saprà dare una risposta alla domanda di stabilità che caratterizza la fase attuale. Purtroppo la storia ci insegna che un nuovo ordine sorge dopo processi lunghi e dolorosi, ma al momento sembra che Russia e Cina, rinsaldando il proprio rapporto, si siano avvantaggiate nell’intraprendere questo difficile percorso.
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