Secondo Lucio Caracciolo e il suo ultimo volume di Limes, la vecchia “cortina di ferro” è stata superata, dimenticata, e in questo momento si può dedurre di essere davanti a una realtà più drammatica, battezzata “cortina di acciaio”. Lo scontro sul campo in Ucraina è sempre durissimo, tra due eserciti che sono stremati, per diversi motivi che non sono solamente quelli dei combattimenti, sempre in corso da quasi cinque mesi, ma per motivi più complessi di carattere interno: economico, politico e sociale. Problemi che si aggravano giorno dopo giorno e non fanno intravedere una sorta di via d’uscita, anche parziale, come una tregua o un “cease-fire”.
Giovedì, nella capitale dell’Ucraina, davanti al presidente Volodymyr Zelensky si sono trovati il nostro presidente del Consiglio, Mario Draghi, il presidente francese, Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Alla riunione, che è stata formalmente un atto di omaggio e di sostegno, si è aggiunto anche il presidente della Romania Klaus Iohannis.
In pratica l’Europa dei fondatori, con uno degli ultimi arrivati, ha voluto dimostrare la sua solidarietà all’Ucraina invasa dai russi. Le parole ufficiali sono state di grande rilievo. Macron ha detto: “È un messaggio di unità europea e sostegno indirizzato alla popolazione ucraina. Siamo qui per parlare del presente e del futuro, perché le settimane che verranno saranno difficili”. Draghi ha incalzato: “Il messaggio più importante della nostra visita è che l’Italia vuole l’Ucraina nell’Ue, vuole che abbia lo status di candidato e sosterrà questa posizione nel prossimo Consiglio europeo. Zelensky sa che è una strada da percorrere, non solo un passo”.
Anche l’incerto e titubante Scholz si è quasi lanciato e ha voluto puntualizzare: “Le sanzioni occidentali contribuiscono alla possibilità che la Russia rinunci all’operazione e ritiri alle sue truppe. Perché questo è l’obiettivo”.
Insomma si è volato alto, mentre i russi, attraverso Dimitrij Medvedev, dimenticavano persino la dura ma efficace prosa di antica scuola sovietica e si abbandonavano a insulti da bar, tra “mangiatori di spaghetti e consumatori di rane”. Ma nella sostanza, tra atti di solidarietà, parole di impegno e risposte da trattoria di periferia, quali passi avanti si sono fatti per raggiungere almeno una tregua che preceda un negoziato?
Viste le contromosse russe per i nuovi tagli su gas e materie prime, si può dire che lo scontro non solo è sempre in atto, ma sta diventando ancora più pesante e crudele.
Sarà un caso, ma il giorno dopo la vista dei rappresentanti dell’Europa a Kiev è arrivato il premier inglese Boris Johnson, quello che sta fornendo all’Ucraina, dopo gli americani, più armi che tutta l’Unione Europea intera. Si dice che giovedì l’argomento “armi” tra Zelensky e i rappresentanti dell’Ue non sia stato toccato.
Difficile crederci, ma certamente Scholz, il tedesco, ha già programmato l’invio di armi per agosto, cioè ha preso tempo. L’Italia non sembra poter offrire un contributo decisivo sul piano militare e la Francia, per bocca di Macron, ha ricordato che “La Russia non va umiliata”. Frase immediatamente sottolineata e valorizzata dai russi e dal portavoce di Vladimir Putin.
In definitiva, un groviglio di dichiarazioni, di poca chiarezza e anche di contraddizioni che fanno pensare a un’Europa che è schierata in modo solidale con l’Ucraina, ma che deve poi fare i conti al suo interno con le differenti posizioni dei Paesi dell’Unione (che esistono eccome) e le differenze esistono anche tra i Paesi fondatori. È osservando bene le posizioni che si vedono una serie di “problemi” che i Paesi dell’Europa temono, soprattutto sul piano economico e sociale, oltre che politico.
Guardiamo solo i tre fondatori. Macron deve vedersela con il concorrente di sinistra Jean-Luc Mélenchon nel secondo turno delle votazioni per l’Assemblea nazionale e la maggioranza di 287 seggi è a forte rischio.
Mario Draghi guida un Paese che sembra “sull’orlo di una crisi di nervi” per usare un eufemismo, per lo sfilacciamento della maggioranza larga. Tra crisi economica, aumento della povertà, sfiducia generalizzata verso tutte le istituzioni è probabile che sarà una scommessa governare l’Italia nei prossimi mesi.
E infine il tedesco Scholz deve fare i conti con la dipendenza energetica che i suoi predecessori hanno scelto.
È possibile che qualcuno abbia chiesto a Zelensky una via “molto ragionevole” per uscire da questa gelata dell’economia mondiale.
È possibile che al superamento di questa “cortina d’acciaio” ci si arrivi per sfinimento, per i traumi che una simile guerra ha creato. Ma è anche possibile che si vada avanti per un paio d’anni, nemmeno con una guerra “congelata”, ma una non comunicabilità assoluta che potrebbe solo provocare una delle più grandi crisi economiche non solo in Russia, ma anche in Occidente e in tutto il mondo.
Non è difficile percepire questo clima di grande incertezza. Basta leggere i saliscendi giornalieri della Borsa, le disuguaglianze sociali crescenti e il nervosismo sempre più latente in tutti gli strati sociali, non solo in Italia, ma nel mondo intero.
Un simile stato di stallo non creerebbe solo il fallimento ormai conclamato della classe politica italiana, ma di un’intera classe dirigente politica mondiale.
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