Caro direttore,
sul Sussidiario il 25 novembre scorso è stato pubblicato lo stralcio di un intervento di Sergio Romano sulle guerre in Israele e in Ucraina. Posto che l’ex ambasciatore gode di una autorevolezza consolidata in decenni di esperienze di altissimo livello ed è, quindi, quasi doveroso considerare ogni suo giudizio, si rimane sorpresi nel leggere frasi di questa fatta. “Ho l’impressione – afferma Romano – che (queste guerre, nda) non costituiscano un vero pericolo semplicemente perché, commettendo un errore, non ce ne occupiamo più. La situazione è come congelata e ridotta ad una guerra a bassa intensità. Combattere è diventato come andare in ufficio…. In Ucraina molti dei Paesi che avevano il desiderio di dare un colpo alla Russia hanno capito che Putin non è così preoccupante”.



La citata autorevolezza del commentatore impatta, tuttavia, con una cosa scomoda e brutta come la realtà del campo di battaglia. Vediamo di riassumere la guerra in Ucraina per distratti, indaffarati e lontani. Nel febbraio 2022 Putin ha deciso (scusate: Putin ha deciso di dare un colpo all’Ucraina e alla NATO, non il contrario come sembra credere l’ex ambasciatore) probabilmente contro il parere di militari e servizi segreti di attaccare l’Ucraina con meno di 200mila uomini, convinto che sarebbe stata una passeggiata militare. L’esercito ucraino ha reagito, ha resistito e nel settembre 2022 ha riconquistato parte del terreno perduto. Dopo la battaglia invernale a Bakhmut vi è stata la controffensiva estiva ucraina che si è spenta progressivamente mentre i russi, in questo momento, stanno cercando di prendere Avdiivka. Nel “conflitto a bassa intensità” di cui parla Sergio Romano restano feriti o uccisi quasi mille russi al giorno, cioè oggi e c’è da pensare che anche le perdite ucraine, in crisi di organico, non siano di molto inferiori. Certamente, se consideriamo un conflitto “a bassa intensità” solo perché non vi sono spostamenti di fronte se non nella misura di qualche centinaio di metri, anche la Somme o Verdun erano una rissa da bar.



“Combattere è diventato come andare in ufficio”. Come possa un ex ambasciatore del rango di Romano lasciarsi andare a questi giudizi è un mistero doloroso. Forse i carristi russi che sono morti bruciati vivi nei propri carri nel recente contrattacco nella zona di Avdiivka non sarebbero d’accordo. Perché il lettore deve sapere che l’equipaggio di un carro armato T72 è composto da soli tre uomini che sono seduti su una riservetta di munizioni interna al carro. I russi hanno adottato il caricatore automatico negli anni Settanta per risparmiare un uomo ed equipaggiare più carri. Purtroppo la riservetta, se colpita da un missile a carica cava, esplode con effetti raccapriccianti che vediamo su Youtube. Quel che non vediamo è il capo carro che viene fatto a pezzi e salta in aria come un pupazzo da una scatola a sorpresa.



Il campo di battaglia fa sempre orrore, ma quello ucraino è davvero particolare nella sua brutalità oggi, in questo stesso momento. Una stima attendibile fissava le perdite russe (in agosto 2023) a 120mila morti e 180mila feriti mentre gli ucraini avrebbero avuto 70mila morti e 120mila feriti. Cifre presuntive ma che sono ancora più terribili se si confrontano i dati dei morti e dei feriti. Per gli americani in Iraq negli anni Duemila, fatto 100 la somma di morti e feriti, i caduti erano l’8,8%, grazie a un sistema sanitario eccellente. Per i russi i morti sono il 40% delle perdite e per gli ucraini il 36%.

“Putin non è così pericoloso”. In un certo senso è un giudizio preparatorio per le prossime elezioni europee, dove si vedrà che cosa vuole veramente fare l’Europa. Perché il campo di battaglia della guerra d’informazione siamo noi, con le nostre idee, raffazzonate o elaborate. E allora sarà dovere civico di ciascuno informarsi, cercare fonti o siti che siano affidabili, per lo meno nei dati, anche se i giudizi possono divergere dai nostri. Avremo occasione di tornare su questo punto suggerendo siti o autori che, in questi mesi, si sono dimostrati affidabili anche con punti di vista differenti. Con una preghiera finale: che il lettore non si adagi nella favoletta della guerra “a bassa intensità”, perché nel fango e nel gelo del fronte ucraino muoiono o sono mutilati centinaia e centinaia di uomini al giorno su ambo i fronti. E il minimo rispetto che dobbiamo loro è quello della pietà, siano russi o ucraini.

Un anno fa ho ascoltato un poeta bielorusso, Dmitrij Strocev, prima arrestato poi esiliato e che diceva proprio questo: “Siamo distratti da considerazioni geopolitiche senza considerare gli aspetti umani mentre dobbiamo provare vergogna, perché la vergogna è un sentimento non politico”. E poi ancora: “la Russia sta mettendo alla prova la convinzione dell’Europa nei propri valori. Ma la mia speranza parte dall’idea della maternità di Dio. Il maschilismo della società (russa, in questo caso) è arrivato alla sua fine”.

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