Troppa storia, troppo Novecento, troppo dolore. Nestor Machno, Holodomor, Babij Jar, Stepan Bandera, battaglie estremamente sanguinose contro i nazisti, resistenza anticomunista prolungata e poi Chernobyl. Un fiume di macroeventi non sempre conosciuti per la nostra prospettiva eurocentrica, ma ancora presenti nelle memorie di molti. Ferite non del tutto cicatrizzate da curare e da non riaprire in modo più grave.
L’Ucraina è una terra di confine, persino nella sua etimologia, che forse poteva rientrare non in sfere di influenza, ma in zone concordate di non influenza. Poi i fatti crudi e terribili hanno dato un violento pugno alla realtà: la guerra, una nuova guerra con tante incognite. Non il prolungamento della guerra a bassa intensità nel Donbass, ma una vera e propria nuova guerra di aggressione condotta su diverse direttrici con un’armata imponente. Guerra esistenziale (Karaganov), Nuova Rivoluzione d’Ottobre (Tret’jakov), Guerra metafisica (Kirill): nomi dati al tentativo di liquidazione dell’indipendenza ucraina (Zubov).
Eppure il punto è che questa guerra è una nuova guerra, che si svolge appunto al confine. È tra Est ed Ovest, ragione e follia, convenzionale e nucleare, locale e globale. Ed è non solo una guerra d’aggressione in cui si registra la legittima difesa e la resistenza dell’aggredito per la protezione del proprio territorio. C’è anche una guerra per procura, possibile generatrice di nuove guerre o di un’ultima guerra. Non si possono, a tal proposito, trascurare le parole del politologo Kagan: “Per quanto sia osceno incolpare gli Stati Uniti per il disumano attacco di Putin, insistere che l’invasione non fosse del tutto provocata, è ingannevole”. Quanto sostenuto dallo studioso, fautore hobbesiano del disgraziato intervento in Iraq, curiosamente ricorda molto le recenti frasi di Papa Francesco, che hanno suscitato un vespaio di polemiche, in chi vuole ridurre l’azione della Chiesa a un ruolo ancillare del potere e dei potenti. Kagan, per inciso, è il marito di Victoria Nuland, famosa per il “fuck Ue” e personalità apicale dell’amministrazione Usa.
In questa guerra d’invasione, che viene fatta contro il diritto internazionale, generando catastrofi umanitarie e sofferenze infinite nel popolo ucraino, oggi non si avvista via d’uscita. Non solo perché viene condotta lontano dal suolo americano, ma soprattutto perché gli obiettivi russi sono ideologico-massimalisti, oltre che ingiusti. Ciò accade perché c’è stato uno sconfinamento, un oltrepassamento della nozione di nemico.
Durante la guerra fredda tra Usa, leader dell’Alleanza atlantica, e Urss, guida del Patto di Varsavia, v’era una chiara inimicizia ideologico-politica, valoriale (democrazia versus comunismo), strategica ed effettiva, ma realistica, con linee rosse ben chiare e definite, sostenute da deterrenza militare, propaganda e mutua distruzione assicurata. I rischi, pur forti, venivano ridotti, per una certa intelligenza della realtà. Oggi non è chiaro fino a dove si stia spingendo l’inimicizia. Essa sembra cieca, irrealistica e altamente pericolosa, perché senza limiti. È cieca, perché non si vede la potenzialità distruttiva di un possibile confronto multilivello e a tutto campo tra un’Unione Occidentale, inglobante militarmente Anglosfera (five eyes) e Ue contro un Anti-occidente con Russia, Cina e Iran. Ecco perché l’aiuto militare va finalizzato, esclusivamente, non a obiettivi irrealistici, ma al cessate il fuoco da parte degli attaccanti, all’assicurazione di un tavolo finalizzato alla comune sicurezza internazionale e soprattutto al rispetto della dignità e dei diritti dell’Ucraina, con accordi basati anche sulla riduzione degli arsenali nucleari e sulla protezione dalla carestia dei Paesi più deboli.
Ma ad oggi, v’è pure un’ostilità che risulta irrealistico-fantasmatica, perché sul territorio ucraino non ci sono nazisti, ma ucraini. Dunque una denazificazione non è possibile farla con bambini, donne e profughi o con chi ha votato in modo democratico. Questa semplice verità va detta e ripetuta, per amore alla vita.
E infine v’è l’avanzare di un’inimicizia sempre più pericolosa e a possibile rischio nucleare. A tal proposito, bisogna dire che è impensabile pensare a una vittoria illimitata contro chi si è posto come nemico, prendendo tutte le carte del mazzo dal tavolo. Il nemico, infatti, non è mai assoluto, ma storico e relativo all’errata costruzione ideologico-pratica di cui è portatore. E d’altra parte i programmi Tv russi, in cui si minaccia in continuazione l’uso del nucleare, mettono in campo l’idea di una guerra ultima praticabile in cui il nemico non è il nemico, ma è la civiltà intera, l’umanità stessa: propria e altrui. Le immagini plateali di distruzione totale, evocate o prodotte, contribuiscono soltanto all’estensione del nichilismo e dell’odio. La vita dell’altro, dell’innocente viene considerata un nulla definitivo, inserita in una sorta di videogioco che produce terrore. Ma la realtà di ogni uomo di qualsiasi nazione o lingua ha bisogno d’altro. Non di volontà di potenza sterile, ma di verità e di pace. E chi minaccia non conosce Dostoevskij. Il terrore politico, secondo il genio russo, si flette, ultimamente, di fronte al terrore mistico di un giudizio vivente: questo sì definitivo. Tutti dovremmo leggere Vlas nel Diario di uno scrittore.
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