La gente ucraina e quella russa sono stanche del conflitto. Kiev non ha più uomini per sostenerlo e pure Putin preferirebbe finirla qui, tenendosi i territori conquistati e passando dalla guerra combattuta sul campo a quella fredda tra Russia e NATO. Anche i ripetuti inviti da parte del mondo occidentale a usare le armi fornite agli ucraini per colpire il territorio russo in realtà sarebbero un modo per alzare il tiro, per poi chiedere di evitare il pericolo di un allargamento dello scontro e iniziare a trattare.



In questo contesto, spiega Stefano Caprio, sacerdote cattolico di rito bizantino, in Russia dal 1989 al 2002, teologo ed esperto del mondo russo, anche il raduno dei movimenti cattolici europei organizzato dal nunzio apostolico Visvaldas Kulbokas a Kiev per l’11 luglio potrebbe far scattare la scintilla per mettere a tema finalmente la pace in Ucraina.



Il nunzio apostolico a Kiev ha chiamato a raccolta i movimenti cattolici europei invitandoli a manifestare per la pace l’11 luglio in Ucraina. Un’iniziativa che può rimettere al centro del dibattito la necessità di una trattativa?

In Ucraina, da un po’ di mesi, nella popolazione c’è la sensazione che non si riesca a fare più di quello che si è fatto e che quindi sia il caso di imbastire una trattativa, di arrivare a un armistizio. Non è un invito esplicito ad arrendersi, ma a cercare di fare il possibile per incamminarsi sulla strada della pace. Gli aiuti non bastano, arrivano in ritardo e ci sono continue offensive di Mosca. Anche da parte russa pare di capire che non vogliano proseguire oltre: i bombardamenti su Kharkiv sono stati ordinati per creare una zona cuscinetto evitando che si proceda verso la regione russa di Belgorod.



La manifestazione dei cattolici europei è più rivolta all’Ucraina che alla Russia?

Un po’ a tutt’e due. Il messaggio è: “Fermiamoci qui perché altrimenti provocheremo altri disastri”.

Nei due Paesi la guerra come è percepita in questo momento dalla popolazione?

Sia i russi che gli ucraini sono stanchi, non ne possono più. In Russia, i sondaggi più o meno ufficiali dicono che la gente non vorrebbe restituire i territori che sono stati occupati, ma vorrebbe che finisse la guerra. Gli ucraini sono renitenti alle mobilitazioni, anche se non vogliono arrendersi. Sono tutti stanchi del conflitto, questo è sicuro.

In Ucraina questo potrebbe voler dire che Zelensky verrà scalzato, visto che sembra tra i pochi che ancora spera in una reazione ucraina?

Nessuno si metterà proprio a fare l’opposizione a Zelensky, che è stato un simbolo per due anni. Però è già passato il momento in cui dovevano tenersi le elezioni e bisognerà pensare a un cambio. Molti non lo vedono come un vero leader, ma come una figura simbolica.

Putin in alcune uscite non si è limitato a dare la disponibilità a trattare, ha indicato anche l’accordo raggiunto in Turchia due anni fa come base di discussione. Sente anche lui che i russi non vogliono più combattere oppure vuole smetterla perché la guerra è comunque troppo dispendiosa sotto tanti punti di vista?

Tutt’e due le cose. Sa che la popolazione è stanca della guerra e non vuole annunciare una nuova mobilitazione. Se non lo ha fatto nel momento più indicato, subito dopo la sua rielezione, probabilmente non lo vuole fare e basta. Che ci siano dei contrasti interni in Russia lo dimostrano le continue dimissioni e arresti al ministero della Difesa, una vicenda che ci fa capire che c’è un conflitto che va avanti da un anno. Quello che sta succedendo è ciò per cui Prigozhin aveva tentato il colpo di Stato: far fuori tutti i generali corrotti.

Non per niente Shoigu, l’ex ministro della Difesa, era il bersaglio principale dell’ex capo della Wagner.

Shoigu non si può toccare più di tanto perché è una figura legata a Putin. Ora è stato messo da parte, facendo fuori anche altri, mettendo al suo posto Belousov, messo lì per progettare un’economia di guerra basata sull’industria bellica, con un programma però a lungo termine. L’idea è: “fermiamoci qui e rimaniamo in una situazione da guerra fredda fra Oriente e Occidente, fra Russia e NATO”. Mantenendo, quindi, uno stato di tensione senza arrivare a una soluzione definitiva.

Gli avvicendamenti voluti da Putin, quindi, significano anche che è meglio mettere da parte la guerra?

Vogliono dire: i nostri generali non sono capaci, aveva ragione Prigozhin, adesso fermiamoci.

L’iniziativa del nunzio apostolico e dei movimenti cattolici si colloca nel solco dei colloqui portati avanti a suo tempo dal cardinale Matteo Zuppi per conto di Papa Francesco?

Un po’ sì, perché si tratta dei movimenti “latini”, più vicini al Vaticano: i greci-cattolici sono più indipendenti e meno legati a questa iniziativa, che è più sulla linea indicata dal Papa e da Zuppi, nel solco di quelle trattative che puntavano a mantenere le porte aperte per un eventuale negoziato.

La cosiddetta conferenza di pace che dovrebbe svolgersi in Svizzera a metà giugno, voluta da Zelensky ma senza i russi, potrebbe comunque servire a qualcosa in questo contesto?

Se si sta formando un quadro di questo tipo bisognerà dare una soddisfazione, almeno morale, agli ucraini dicendo che si sostiene la resistenza ucraina nella speranza che vengano restituiti tutti i territori, ma che è meglio smettere di combattere. Occorre trovare una formula che non umili l’Ucraina e che non indisponga la Russia. Sarà importante il ruolo della Cina, ammesso che partecipi alla conferenza.

Polonia e Finlandia autorizzano gli ucraini a usare le loro armi contro il territorio russo. L’alto rappresentante per gli affari esteri della UE, Josep Borrell, e il segretario generale della NATO, Stoltenberg, chiedono la stessa cosa ai Paesi che fanno parte dell’Unione e dell’Alleanza. Gran Bretagna, Francia e Germania sono d’accordo: mentre c’è qualche spiraglio per la pace, l’Europa alza il tiro dal punto di vista militare?

È il riflesso delle dichiarazioni russe relative alle esercitazioni con le armi nucleari ai confini con l’Occidente. Sono le sparate che servono a dire: “Allora fermiamoci”. Non è credibile come rilancio dell’offensiva, vorrebbe dire distruggersi a vicenda. Potrebbero essere le bordate che preparano lo stop alle armi.

L’Ucraina, d’altra parte, è un Paese per molta parte distrutto e ha dovuto sopportare grandi perdite in termini di uomini. 

Sono messi davvero male. E poi non hanno uomini, la cosa che conta è quella. Gli ucraini possono anche usare le armi contro il territorio russo, ma poi come faranno a fermare il nemico? Per questo si comincia a intravedere uno spiraglio per la pace, non dovuto a un desiderio di far tacere le armi ma alle logiche della guerra, che impongono uno stop per questioni economiche e logistiche. Per diversi motivi non conviene più sostenere il conflitto né agli uni né agli altri. Più che una pace sarà un passaggio dalla guerra calda alla guerra fredda.

(Paolo Rossetti)

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