In una lunga analisi pubblicata sul Berliner Zeitung, il giornalista Alexander Dubovy riflette sull’attuale fase della guerra in Ucraina che vede Kiev sempre più in difficoltà sotto i colpi precisi e calcolati della Russia che – nel frattempo – avanza spedita verso il completo controllo della regione del Donbass: un’analisi cruda che non risparmia accuse a nessuno, a partire dall’incapacità di buona parte dei comandanti militari ucraina, per arrivare anche al ruolo e alla posizione della Nato e dell’Occidente.



Senza dilungarci troppo sulla situazione sul fronte – della quale basti sapere che attualmente Mosca procede verso le città di Kramatorsk e Sloviansk che le aprirebbero le porte alla capitale regionale del Donbass Dnipro – sembra che la parte del leone in Ucraina la stia facendo proprio la Russia che dopo parecchi mesi di incertezze e perdite è riuscita a trovare una strategia coerente e capace di abbattere (anche rapidamente) le linee difensive di Kiev.



Dall’iniziale strategia del tutto per tutto messa in campo da Mosca all’inizio del conflitto, ora si è passati allo sfruttamento delle unità meccanizzate: con alcuni attacchi ad ampio raggio l’esercito russo individua le linee di difesa dell’Ucraina, ma invece di attaccarle subito le mette sotto sorveglianza grazie ai suoi numerosi droni; così facendo in alcuni giorni (o addirittura in poche ore) ne individua le lacune e le debolezze contro cui rivolge – infine – tutta la sua potenza di fuoco.

Il successo della Russia passa anche dall’insuccesso e dalla debolezza dell’Ucraina

Ma il successo della Russia – continua l’analisi di Dubovy – non si può ascrivere al semplice cambio di tattica e allo sfruttamento di un territorio che (dopo più di due anni di permanenza) non ha più segreti; ma va ricercato anche – e soprattutto – nella sempre più ampia debolezza dell’Ucraina. Secondo il giornalista militare ucraino Yuri Butusov la leadership militare di Kiev non è in grado di formulare un piano di coordinamento operativo efficace con l’esito di lasciare scoperte e vulnerabili le linee del fronte dove – peraltro – non vengono mai inviati gli esperti militari ma solamente i comandanti alle prime armi.



Similmente, la catena di comando di Kiev è troppo lunga e prima che un ordine arrivi al fronte rischia di essere già stato superato dallo sviluppo (fatto di bombardamenti russi e morti ucraini) del conflitto, in una vera e propria crisi per la quale diventa sempre più difficile trovare una soluzione; fermo restando anche che da mesi l’Ucraina attraversa una complessa carenza di personale addestrato.

Il ruolo incerto della Nato nella guerra in Ucraina: tra F-16 e proclami, manca una linea comune e dura

In tutto questo pasticcio – infine – non si può ignorare neppure il ruolo incerto dell’Occidente che dopo un iniziale supporto fortissimo all’Ucraina, da tempo tarda nei suoi rifornimenti e procede in modo sempre più raffazzonato: lo dimostra la questione dei caccia F-16, a breve disponibili sul territorio di Kiev ma anche in larga parte inutili sia perché – da un lato – richiedono un addestramento che i piloti e i meccanici ucraini non possiedono; sia – dall’altro lato – a causa dei divieti imposti dai partner occidentali.

Se – infatti – i caccia sarebbero una risorsa fondamentale per scardinare il predominio russo nei cieli ucraini, dall’altro diventano inutili se non possono colpire i sistemi di difesa russi dislocati sul territorio occupato ed annesso: un’impossibilità dettata dal divieto della Nato di usare armi occidentali sul territorio russo, abilmente e saggiamente strumentalizzato dal Cremlino che – nel frattempo – ha imparato a sfruttare anche le debolezze dei partner ucraini.

Proprio la Nato è l’ultimo tassello del puzzle dell’Ucraina perché i continui litigi e i ritardi nelle forniture per l’Ucraina lanciano alla Russia un messaggio di debolezza ed indecisione che si ripercuote sulla (potenziale) paura del Cremlino di una risposta concreta e decisa da parte dell’Alleanza atlantica; così come i continui punzecchiamenti alla Russia definita debole e incapace di concludere il conflitto non fanno altro che spingere Putin ad alzare l’asticella della sua – già elevata – aggressività.