Scholz, Zelensky e Putin. Tutti a dire che bisogna incontrarsi per dare il via a un percorso di pace, anche se poi in realtà nessuno pensa davvero alla fine della guerra. Il cancelliere tedesco, osserva Marco Bertolini, generale già comandante del COI e della Brigata Folgore in diversi teatri operativi, dall’Afghanistan al Kosovo, cerca solo di ingraziarsi l’elettorato che lo ha bocciato anche per la sua posizione sul conflitto. Il presidente ucraino, il cui consenso in patria è in caduta libera, vuole accreditarsi come il pacificatore che non è stato finora, e il capo del Cremlino non può pensare di sedersi a un tavolo fino a che gli ucraini resteranno nella regione di Kursk.
Insomma, la guerra va avanti, con Kiev che rischia sempre di più di non riuscire a far fronte all’avanzata nemica. Se il fronte interno non reggesse più, anche per Zelensky sarebbe dura resistere. Al suo posto sono già pronti Zaluzhny, Yermak o Kuleba. Finché l’attuale presidente resterà in sella, sarà difficile che si arrivi a negoziare. Per vedere una svolta, bisognerà aspettare la fine della presidenza e con essa, probabilmente, della sua carriera politica.
Scholz, insieme a Zelensky, dice che alla prossima conferenza di pace ci dovranno essere anche i russi e che bisogna trattare con loro. Sembra n cambiamento importante.
Bisogna vedere se è sincero: in Germania c’è stata una tornata elettorale che ha premiato i partiti contrari alla russofobia che ha segnato finora la narrazione della guerra. Bisogna vedere se è sincero anche Zelensky. Credo che ci sia uno sforzo per accreditarsi come pacificatori, alla luce del fatto che le operazioni sul campo stanno volgendo a favore della Russia. A parte le ragioni di politica interna che spingono Scholz a fare queste dichiarazioni, c’è un tentativo di accreditare il presidente ucraino come colui che vuole chiudere il conflitto. Ma non credo alla sincerità di queste affermazioni: per quale motivo arrivano ora? Perché Zelensky occupa qualche chilometro quadrato di territorio russo? Le operazioni sul campo premiano Mosca e, se ci fosse una crisi generale dell’esercito ucraino, anche quel pezzo di terra potrebbe venire meno.
Nelle ultime settimane però si è parlato di una riduzione della fornitura di armi da parte dei tedeschi all’Ucraina. Non basta per credere che la Germania pensi davvero alla pace?
La Germania è la grande vittima di questa guerra: sta perdendo colpi dal punto di vista economico, in termini di esportazioni. Non aveva interesse che questa guerra ci fosse, ma neanche la forza per impedirla. Tutto questo anche se la Merkel ha rivelato che gli accordi di Minsk sono stati un escamotage per dare tempo all’Ucraina di prepararsi alla guerra, sottintendendo che Berlino è stata in qualche modo complice di questo complotto. La Germania, comunque, non ha molto più da dare in termini di armamenti e, ora che non ci sono tante speranze di vittoria, cerca di chiamarsi fuori.
La vicenda North Stream con le accuse a ucraini e polacchi di aver sabotato il gasdotto non influisce sull’atteggiamento dei tedeschi?
La Germania ha subito danni enormi, ma non c’è nessun politico che abbia affrontato questo tema. E allora si è tirato fuori dal cilindro un ucraino nei cui confronti è stato spiccato un mandato di cattura, scaricando su di lui la responsabilità di un atto che non poteva essere realizzato solo grazie alla volontà di singoli individui: lì c’è stata una pianificazione, si sono dovuti recuperare materiali e mezzi.
Quindi non c’è nessun sussulto di orgoglio da parte della Germania? Scholz subisce la situazione come la subiva prima?
La Germania non ha molta più forza politica dell’Italia in relazione alla guerra. Credo che Scholz stia cercando di galleggiare, che lotti per la sua sopravvivenza, perché le ultime elezioni hanno dimostrato che l’estrema destra e l’estrema sinistra sono contrarie a proseguire la guerra. Si andrà ancora a votare in Brandeburgo e Scholz cerca di tenersi buono l’elettorato. Gli è franato tutto davanti, come è successo anche a Macron, che ci ha messo una pezza con un governo tecnico all’italiana.
Insomma, l’Europa non riesce proprio a prendere un’iniziativa seria?
L’unica iniziativa che doveva prendere era fare in modo che non ci fosse una guerra tra due Paesi europei. Invece, ha sposato le tesi dei democratici USA e adesso la guerra la subiamo. Anzi, c’è qualcuno che vorrebbe che il testimone lo prendessimo noi, come ha detto Draghi.
Anche la Cina ha invitato a darsi da fare per la pace e Mosca ha ribadito la disponibilità a parlare. Questa apertura di Putin cosa significa?
Credo che Putin dica di essere disposto a trattare per una questione di coerenza, perché è la posizione che ha sempre tenuto, ma non andrà a nessuna trattativa fino a che non cambierà la situazione nella provincia di Kursk. La stessa cosa vale per Zelensky: vuole trattare ma quando i russi saranno rientrati nei loro territori. Mosca, tuttavia, non si ritirerà.
Dunque Scholz, Zelensky e Putin parlano di pace, ma non ci credono.
Non credo che il capo del Cremlino voglia negoziare in questa situazione, e non credo neanche alle parole di Zelensky, per il quale finora la condizione per trattare è sempre stata che i russi si ritirino. Il presidente ucraino sta cercando di salvare sé stesso: in previsione dell’inverno e visti i danni causati dalle incursioni russe alla rete energetica, la sua posizione diventerà sempre più precaria.
Ormai anche gli ucraini dicono che rischiano di non riuscire più a gestire il fronte interno. Com’è realmente la situazione?
Gli ucraini non hanno più soldati e anche a Kursk hanno dovuto ricorrere a parecchi esterni, la popolazione è in crisi e lo Stato sta cercando soldi per pagare i soldati. Il Paese dipende dalla generosità dei donors, USA e UE. In queste condizioni è difficile fare fronte a una guerra così distruttiva.
Potremmo vedere “abdicare” Zelensky, costretto ad andarsene per il precipitare degli eventi?
La ruota di scorta è stata preparata da tempo: potrebbe essere Zaluzhny, ex capo dell’esercito mandato a fare l’ambasciatore in Gran Bretagna, fatto fuori perché aveva un ascendente superiore a Zelensky. Potrebbe essere Yermak, il consigliere del presidente, il presidente ombra, come lo considerano alcuni, che è andato negli USA a presentare la lista degli obiettivi da colpire in Russia. Un’altra alternativa può essere Kuleba, l’ex ministro degli Esteri: pare che lo mandino a fare l’ambasciatore alla NATO. Zelensky sta prevedendo un orizzonte abbastanza cupo per quanto riguarda la sua sorte di politico. Se ci saranno trattative, sarà dopo che sarà sostituito. Potrebbe succedere anche a Putin, ma qui la vedo molto più dura.
La popolarità di Zelensky, d’altra parte, sarebbe in picchiata. Se i russi continueranno ad avanzare, potrà accusare il colpo anche lui?
L’operazione di Kursk serviva a questo, a riconquistare un po’ di credibilità: puntava a prendere possesso dell’area della centrale nucleare che si trova nella regione, cercando di guadagnare una posizione di forza. Adesso, però, l’operazione è ferma.
La prospettiva più probabile è che i russi avanzino ancora in Ucraina?
Stanno avanzando in direzione di Pokrovsk, anche se meno velocemente rispetto a prima. Guardando a come si evolve la situazione sul terreno, non c’è storia.
E poi rimane l’incognita che pende da mesi sul mondo intero, che è quella delle elezioni americane. Non si muoverà niente di serio fino ad allora?
Siamo ostaggi di quello 0,2-0,3 per cento che determinerà la vittoria di Trump o della Harris.
(Paolo Rossetti)
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