All’inizio della guerra non c’è un disegno geopolitico, ma la divisione e la volontà di sopraffazione, cioè il peccato. Desiderio egemonico di possesso, odio violento, rabbia inguaribile e disgusto feroce. Per questo motivo, con sano realismo, nel testo del Racconto del pellegrino russo il protagonista domanda continuamente: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”.
In modo filosofico, poi, per Lev Šestov, di famiglia ebrea, nato a Kiev, si può guardare la vita a partire da Anassimandro o dal testo biblico. Nel primo caso, la nostra nascita “è una prevaricazione sulle altre e quindi un’ingiustizia. Il prevaricante paga il fio della propria ingiustizia, andando distrutto da altri prevaricanti, ossia ritornando all’unità originaria dell’ápeiron” (E. Severino, La filosofia antica, Rizzoli 1987, p. 38). Nel secondo caso, invece, si ricorda l’azione divisiva del serpente tentatore e la disobbedienza al comando divino con la conseguente catastrofe per il genere umano.
Nel linguaggio attuale secolarizzato e usurato, tuttavia, termini come peccato, pietà e salvezza non vengono alla luce della ragione o appaiono come sfocati, sullo sfondo. Il Potere ha trovato sostituti più telegenici e manipolabili. Da qui, il risalto, quasi pornografico, dato dai media con brevi video da tre minuti (pubblicità inclusa) alle imprese del drone turco, al robot ricognitore, al missile antinave, al cannone superperformante o al missile ipersonico, al supertank e ai missili balistici intercontinentali (Sarmat o satan) con i quali si ha il triste vantaggio di far morire l’altro ben dieci minuti prima di morire personalmente e collettivamente. I video proposti ogni giorno inquadrano danni, incendi, distruzioni, ma non i volti unici e irripetibili dei morti. Non ci sono storie da raccontare, figli in lacrime o madri tramortite dal dolore.
L’ innovazione tecnico-bellica, insomma, ha sottomesso l’uomo e il demone della guerra in una comoda e asettica vetrina on line, accompagnata da likes e condivisioni, mettendo in mostra la sua volontà di potenza nullificante, con lucro crescente e azioni in Borsa a vantaggio di chi vende armi. Perciò, i proclami bellicosi hanno invaso la sofferenza fatta da mutilazioni, sconvolto sangue interiore e pianto solitario, facendo dimenticare il cuore. Mentre il New York Times, in una sua inchiesta, segnala l’uso di diverse armi proibite contro la resistenza ucraina.
Ma la civiltà umana non è stata sempre così. L’umana pietà ha una storia ed è sempre stata legata alla sepoltura. È il contrario del risentimento offeso e delittuoso dello scismatico Raskol’ nikov o del rancore bilioso dell’uomo del sottosuolo. Nell’Iliade, infatti, Priamo, umiliando se stesso e la sua regalità, va da Achille, che ha oltraggiato il corpo del figlio e bacia la sua mano tremenda, per chiedere le spoglie mortali di Ettore. “Achille, rispetta i numi, abbi pietà di me, pensando al padre tuo”. L’eroe acheo vede, così, nell’anziano nemico il proprio padre e restituisce il corpo di Ettore. Nonostante l’odio provato, ha pietà di un vecchio che ha rischiato tutto, pur di rivedere per l’ultima volta il figlio.
Antigone, nella tragedia di Sofocle, vuole a tutti i costi che il corpo del fratello trovi onore e sepoltura, nonostante i decreti del Re. Una donna va contro la legge e contro tutti, per affermare la pietà dovuta a un povero morto. Non importano i costi, una verità amorosa vale più della vita.
Ora, che dire di quello che sta accadendo nella terribile guerra in Ucraina ai tanti, troppi cadaveri abbandonati? I feroci combattimenti non cessano e la popolazione ucraina è martoriata, in continuazione, da bombardamenti, sete e fame. Abbiamo visto in tv i poveri corpi dei civili massacrati e non sepolti a Bucha. Nell’intervista a Lavrov, Steve Rosenberg della Bbc ha citato la terribile situazione di Yahidne: atrocità incredibili e sofferenza di inermi ucraini per troppo tempo.
Un’invasione da diverse direttrici, dunque, che genera solo danni, a tutti i livelli, e corpi senza vita. Tutto per avere più terra, con la futura certezza di diventare, poi, un semplice pugno di terra come tutti.
E poi i giornali ci raccontano di vagoni con cadaveri di soldati russi abbandonati. Abbiamo letto, anche, di salme oltraggiate e disposte a forma di Z. E ricordiamo anche che dei poveri corpi sono stati usati come trappole esplosive e mortali. Sappiamo di tantissimi, troppi cadaveri insepolti tra le macerie di Mariupol e di altre città sotto assedio con il rischio di epidemie. Giunge, inoltre, la notizia di tante famiglie russe che chiedono agli uffici di Kiev informazioni sui loro cari di cui non sanno più niente. Gibbons Neff sul New York Times, poi, ci parla del cadavere carbonizzato di un giovane soldato russo in un carro armato. Suscita la curiosità della gente per cui “c’è un tizio morto là dentro, nella sua tomba di metallo aggrovigliato”. È uno dei tanti senza nome, vittima di questa guerra.
E poi i cadaveri di bambini ucraini, tanti innocenti che non conoscevano le parole complicate di noi adulti: impero, guerra preventiva, denazificazione, alleanza occidentale, inimicizia senza limiti e infinita. Bambini sottoposti a una sofferenza inutile che non trova fine. Vite rubate dalla notte della ragione al gioco e al futuro.
“Ma non vi fanno un po’ di dispiacere/ Quei corpi senza più calore?”, così cantava, in modo struggente, Battiato in Povera Patria.
E poi, di fronte a questo dolore senza nome, viene in mente anche un grande maestro: Vico. “Finalmente, quanto gran principio dell’umanità sieno le sepolture, s’immagini uno stato ferino nel quale restino inseppolti i cadaveri umani sopra la terra ad essere esca de’ corvi e cani; che certamente con questo bestiale costume dee andar di concerto quello di esser incolti i campi nonché disabitate le città, e che gli uomini a guisa di porci anderebbono a mangiar le ghiande, colte dentro il marciume de’ loro morti congionti” (Scienza Nuova, Libro primo, III, Rizzoli 1996, p. 236). Per il geniale filosofo, insomma, una situazione del genere, con tanti poveri corpi insepolti, mette a rischio la nostra comune civiltà. Ciò che abbiamo raggiunto nel tempo non è, peraltro, un fatto acquisito per sempre e scontato. Religioni, nozze e sepolture, infatti, “si debbono santissimamente custodire da tutte perché il mondo non s’infierisca e si rinselvi di nuovo” (Vico, Scienza Nuova, cit., p. 233). Il rischio che tutti corriamo, infatti, è quello di un piano inclinato che può portare a un mondo simile a quello prospettato in Metro 2033 da Dmitrij Glukovskij: straziato e sotterraneo.
La sfida gravissima, oggi, è, curiosamente, in mano a tanti che, almeno nominalmente, si dichiarano credenti. Tra le nazioni più potenti e risolutive, nei ruoli decisivi, sono presenti cristiani (cattolici, ortodossi, protestanti) ed ebrei. Insomma, una situazione in cui ci si potrebbe iniziare a parlare, nuovamente. Ma non è semplice, perché si tratta, oggi, di scegliere nel cuore profondo tra l’Odio di Empedocle, in grado di distruggere fino in fondo, facendoci fare un balzo indietro nel buio e precipitare nel ritorno alla barbarie o la pietà del nostro cuore comune e indiviso, rischiando verso nuovi e difficilissimi colloqui, con coraggio. I segnali, peraltro, non sembrano affatto incoraggianti. Anzi – a proposito dell’illegale e ingiusta aggressione all’Ucraina –, il politologo Karaganov ha detto: “Ma dovete capire che ora non c’è spazio per i negoziati. Purtroppo dobbiamo prima risolvere le cose sul campo di battaglia” ( intervista a Francesco Bechis, Formiche.net, 18-06-22).
La tregua ora, però, nonostante tutto e tutti, è proprio necessaria, almeno quella. Bisogna avere rispetto per tutti i poveri morti e seppellire degnamente i loro corpi. La pietà è il punto di partenza per tutti: una linea rossa, finalmente unitaria. E come non pensare proprio a Papa Francesco, autore di Fratelli tutti e Contro la guerra, che all’inizio dell’invasione è andato all’ambasciata russa a chiedere pietà e pace? Ha fatto vedere con la sua debolezza supplice e il suo passo claudicante una logica diversa da quella mondana: la testimonianza del primo passo, che non calcola la possibilità del fallimento. Il Papa, infatti, non cerca un successo o un’audience, ma invita a guardare, in profondità, verso un oltre amico. Indica un luogo vero, umana dimora di tutti che altri non vedono o non vogliono vedere.
Il recupero e la sepoltura dei corpi, in tale ottica, è una domanda sulle proprie scelte e una meditazione sul senso di tutto. È necessario. Piangendo i propri morti, si potrà forse iniziare a capire anche solo un po’, per un piccolo frammento, il pianto degli altri ed essere un po’ meno nemici. E poi, magari iniziare a guardare tutto, di nuovo, anche solo per un attimo, con gli occhi di un bambino: quello che cerca di essere protetto dalla crudeltà della guerra. Quello che rischia oggi di morire dimenticato dal Potere. Immagine di un altro bambino che venne accettato solo dagli umili. Quelli cioè che non erano potenti e sapevano di essere solo povera terra, per un tempo limitato, con un po’ di fiato infuso.
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