Il Vangelo di domenica, secondo la liturgia ambrosiana, presenta il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Rileggendo quella pagina, chissà perché, mi è venuto in mente uno strano accostamento con uno dei maggiori problemi creati dalla guerra in Ucraina: la questione della mancanza di grano.

Si trova “la grana” per alimentare il conflitto, ma viene meno il grano per sfamare la gente e non solo dell’Ucraina.



Il pane prodotto, almeno di solito, col grano è nelle sue diverse forme la base dell’alimentazione di tutti, o quasi, i popoli della Terra (su gli eschimesi non ci giurerei). Dalla pizza napoletana alla focaccia ligure fino allo squisito khachapuri georgiano (se non sapete cos’è vuol dire che la vostra cultura alimentare ha una grave lacuna), il cibo soprattutto della povera gente è costituito da pane con su qualcosa d’altro.



Ma il mio pensiero non si è fermato qui.

È riandato a quel giorno (se ricordo bene era il 1997) in cui a Karaganda vennero a casa mia due esperti della Lega delle Cooperative per bere un caffè (italiano). Avevano appena concluso una lunga e accurata ricerca per tutta la steppa per trovare terra da coltivare a grano. Come si sa i mandarini in Siberia fanno fatica a crescere.

Mi dissero che alla fine erano rimasti colpiti dal fatto che gran parte del territorio della steppa che non è sabbioso o roccioso, sarebbe coltivabile a frumento, grano duro. Addirittura dissero, e lascio agli esperti la valutazione sull’esattezza delle loro conclusioni, che con tutto quel grano si potevano alimentare centinaia di milioni di persone.



Alla mia, ovvia, domanda perché nessuno lo facesse risposero: “Prima di tutto non c’è abbastanza popolazione per coltivarlo. Poi, naturalmente, mancano gli investimenti per un’operazione così gigantesca”.

Infine aggiunsero che se una tale enorme quantità di grano fosse finita sul mercato internazionale, il prezzo del prodotto avrebbe segnato un calo insopportabile per gli attuali produttori di grano, Ucraina compresa.

Ripeto, lascio agli esperti la veridicità di queste affermazioni, ma posso anche aggiungere un’esperienza personale di profano.

Molti anni dopo, quando ormai mi ero trasferito ad Astana, una domenica mi capitò di andare a celebrare una messa in un villaggio ad un’ottantina di chilometri dalla capitale. È una zona nella quale già Krusciov, negli anni 60-70, aveva indetto, guarda caso, la campagna “per la conquista delle terre vergini”.

Al villaggio la gente mi spiegò che quello era il centro di un kolkoz (fattoria di proprietà collettiva) che si occupa di un territorio così vasto che per fertilizzarlo erano necessari alcuni piccoli aerei, che in effetti poi mi mostrarono.

Alcuni anni dopo la Repubblica Popolare Cinese, che come sappiamo non manca certo di manodopera, propose di inviare in Kazakistan un paio di milioni di persone per coltivare la terra. In quel periodo l’attuale presidente Jhomart Tokayev era ministro degli Esteri e da poco aveva concluso le difficili trattative per stabilire, finalmente, confini certi con la Repubblica Popolare Cinese. L’allora presidente Nursultan Nazarbayev sembrò essere favorevole all’operazione, ma il parlamento kazako espresse un parere decisamente negativo, temendo che quello sarebbe stato l’inizio di un’invasione cinese, con relativa annessione del territorio.

Ora, tornando ai tempi nostri, non si può non osservare come la guerra in Ucraina abbia fatto emergere una questione di portata mondiale sullo sfruttamento delle risorse, e non solo di quelle petrolifere.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI