Il protrarsi della grave situazione internazionale in atto genera prese di posizione importanti che fanno riflettere. Cina, Turchia e Arabia Saudita hanno recentemente assunto iniziative determinate da moderazione e pacatezza. La Cina in primis ha sostenuto il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale di tutti i Paesi, sollecitando il dialogo e la ricerca di soluzioni, per trovare sbocchi alla crisi attraverso tutti gli sforzi possibili. La Turchia è intervenuta con una forte azione diplomatica, per risolvere con la sua mediazione la crisi del grano. L’Arabia Saudita, a sua volta, ha favorito lo scambio dei prigionieri tra l’aggressore e la parte lesa dall’imponente attacco da diverse direttrici.



I tre Stati protagonisti di tali interventi non brillano certamente per il rispetto dei diritti umani. La brutale repressione a Hong Kong e nello Xinjang contro gli Uiguri; la guerra portata ai Curdi in Siria (Turchia) e l’omicidio atroce del giornalista Khashoggi (Arabia Saudita) sono avvenimenti che hanno inquietato la coscienza dell’opinione pubblica. Allora, è lecito chiedersi cosa ha motivato le iniziative finalizzate alla mediazione da parte dei tre Paesi. Non si tratta, qui, solo di una questione di prestigio internazionale o di interesse nazionale o di buona umanità, ma piuttosto di una conoscenza. Empedocle diceva che il simile si conosce con il simile. Detto altrimenti, proprio chi conosce la portata e l’uso della violenza politica ne intravede maggiormente i rischi distruttivi per tutti, causati dall’attuale piano inclinato.



Nonostante ciò, sembra prevalere un moto rettilineo senza sosta, dettato da un disegno ideologico massimalista, che non lascia presagire nulla di buono. La mobilitazione parziale, la recrudescenza del conflitto, la decisione di fare referendum annessionisti in quattro regioni ucraine e i toni forti usati sono decisamente preoccupanti. Le parole del Patriarca Kirill, il quale ha affermato che saranno lavati i peccati ai soldati russi che moriranno in Ucraina, destano, poi, doloroso sconcerto. E fanno venire in mente altre parole: quelle di Ambrogio contro l’eccidio di Tessalonica (390 d.C). Parole altre e decise, nate dalla certezza che la verità è vita che non si flette davanti a nessun potere mondano. Un dipinto di Rubens (1617-1618) immortala il gesto di Ambrogio che non consente l’ingresso nella Chiesa all’autore dell’ordine iniquo contro gli innocenti, cioè Teodosio.



Non si può, poi, non ricordare anche il “sommo poeta” Dante, amato in Russia da molti intellettuali e filosofi, grazie alla celebre traduzione di Lozinskij. Anche Dante Alighieri sorprende per la fermezza del suo giudizio: di fronte alla legge divina non si può avere una presunzione di salvezza propria o altrui giustificata dalla propria autorità ecclesiastica. L’autorità, infatti, non è un possesso personale o un assoggettato instrumentum regni, ma il costante richiamo a una verità data a tutti per un bene ultimo. L’autore della Divina Commedia per ciò stesso colloca alcuni papi nell’Inferno e cita Clemente IV nel Purgatorio per avere ispirato lo scempio del cadavere di Manfredi al “pastor di Cosenza”.

In effetti, le terribili notizie dei massacri di Izyum hanno suscitato sdegno e riprovazione. L’immagine del cardinale Krajewski, commosso e in preghiera, davanti alle fosse comuni di ucraini uccisi e torturati, ha fatto vedere, a un tempo, che cosa può produrre la desertificazione dell’umano e ciò che può oltrepassare il nichilismo mortifero.

Restano nei nostri occhi anche le lunghissime code di russi che cercano di scappare dal Paese per non andare a combattere. I giovani russi hanno intercettato non solo rischi immediati e diretti per la loro vita, ma la pericolosità del continuo “alzare la posta”, a tutti i livelli. A tal proposito, Mark Galeotti, autore di numerosi saggi sulla Russia, ha sostenuto che dietro la minaccia nucleare più volte ripetuta dalle autorità vi sia un bluff. Ma non basta, qui, scomodare la necessità dell’euristica della paura sostenuta da Hans Jonas, per prevenire e prevedere la catastrofe. In questo caso, infatti, è in gioco una parola più radicale, decisiva e definitiva: salvezza. Salvezza dell’Ucraina, dell’umanità e della Russia da sé stessa e da scelte senza ritorno. Perciò, anche se la porta del dialogo è effettivamente chiusa e dal buco della serratura esce solo un vento gelido, bisogna provare a fare passi creativi in avanti, tentando di intercettare spiragli possibili. Salvezza e bene comune hanno un nome preciso che è il destino di tutti: anche di chi ha un potere storico, limitato nel tempo.

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