Prendete uno che abbia studiato, praticato, insegnato ogni sfumatura della comunicazione in compagnia di Aristotele, Durkheim, Weber, Simmel, Habermas, Popper, McLuhan, Chomsky, De Saussure, Peirce, De Bono, Watzlawick, Goffmann, Goleman, Baudrillard, Maslow, Desmet e almeno altri cento maestri.
Come pensate possa reagire alle menzogne stratosferiche scaricate ogni giorno da giornali, tv e social media, da quelli che un tempo erano considerati dei veri e propri maître à penser, e che ora sono tutti impegnati a sostenere le tesi di veline distribuite contemporaneamente ai media internazionali dall’apparato dell’impero che al momento governa il mondo?
Prendiamo gli ultimi due casi: il sabotaggio del gasdotto North Stream e la scelta di Kamala Harris come aspirante alla presidenza degli USA.
Nel primo caso, chi aveva un minimo di sale in zucca, considerata anche la complessità dell’operazione, non poteva fare altro che ricorrere al “cui prodest” per immaginare i mandanti.
A distanza di molto tempo, durante il quale diverse gole profonde si sono mostrate concordi nell’individuare la responsabilità di alcuni Paesi NATO, ecco comparire ovunque, sostenuta anche da illustri editorialisti, una tesi semplicemente imbarazzante, ed esposta ovunque praticamente con gli stessi titoli del Wall Street Journal che l’ha pubblicata per prima: “Da una serata tra ubriachi è nato il sabotaggio del gasdotto North Stream: ecco la vera storia. Un gruppo di uomini d’affari ucraini hanno finanziato l’operazione riservata, che è stata supervisionata da un alto generale ora ambasciatore a Londra; il presidente Zelensky aveva approvato il piano, poi ha cercato senza successo di annullarlo su sollecitazione della Cia”.
C’è bisogno di aver studiato, praticato, insegnato comunicazione una vita intera per sentirsi offesi da una simile ridicola ricostruzione, rivenduta come “la vera storia” da uno dei quotidiani più autorevoli degli Stati Uniti?
In rete hanno cominciato subito a circolare meme fulminanti nello stile “castigat ridendo mores” che mettono in luce la palese insostenibilità di una narrazione del genere. Da un lato appare evidente l’intenzione di dare tutta le responsabilità a Zelensky, che invece prende notoriamente ordini dagli USA, da anni ormai di casa in Ucraina (si erano già dati parecchio da fare per favorire il colpo di Stato che depose Yanukovyc nel 2014).
Si fa notare come sarebbe impossibile che due sub ubriachi possano compiere un attentato così complesso, disubbidendo inoltre a Zelensky. Ora è noto che in Ucraina si viene messi al muro per qualsiasi forma di dissenso, figuriamoci disubbidire a un ordine simile. Contravvenendo inoltre al volere della Cia, per l’occasione assimilata ad una Ong benefica.
Non c’è altro da aggiungere, se non invitare a farsi un giro sui social, e inorridire per la colossale perdita di credibilità di editorialisti, direttori e testate che stanno cercando di farci ingoiare questa gigantesca bufala.
Non è da meno la faccenda di Kamala Harris. Arrivata ultimissima alle primarie democratiche, fu scelta per le sue origini multietniche e per la sua incrollabile fede abortista e filo-LGBTQ+. Le fu affidata la pratica dell’immigrazione, sulla quale ha fallito clamorosamente. Persino i dipendenti del suo ministero dopo un po’ di mesi indissero uno sciopero di protesta contro le sue incapacità organizzative. Tutti i dem ne parlavano malissimo, considerandola un peso troppo imbarazzante. Quando nel luglio scorso si decisero a far ritirare Biden, non sono poi riusciti ad accordarsi per un adeguato sostituto, e così sono stati costretti in zona Cesarini a candidare alla corsa per le elezioni presidenziali quella che fino a un’ora prima era considerata un’incapace.
Ecco che i mass media – imbeccati dai loro azionisti – hanno cominciato a sfornare titoli come “Tutti pazzi per Kamala”, ma guardandosi bene dall’intervistarla, per evitare che se ne venisse fuori con gli svarioni che ha saputo disseminare in qualche comizio di cui esiste documentazione video. In rete si fa rilevare che ovunque ha letto sempre sul gobbo lo stesso discorso, ripetendo a macchinetta le stesse identiche frasi finali. Quelle poche volte che ha parlato liberamente è stato un vero e proprio disastro.
Come è possibile allora che tanti esperti e sottili editorialisti, sempre pronti a cercare il pelo nell’uovo nell’azione di chi non aggrada loro, ritengano non solo candidabile alla Presidenza degli Stati Uniti una politica che ha pure dimostrato con grande evidenza le sue incapacità a governare, ma la considerino in grado di battere quel mascalzone di Trump?
Che non sarà uno stinco di santo, ma ha idee chiare, una visione dell’America meno belligerante in giro per il mondo e più mirata allo sviluppo interno. Purtroppo per lui ha dichiarato guerra al Deep State, quello che indirettamente paga gli stipendi delle sei grandi catene di informazione nel mondo.
E quindi adesso è tutto chiaro: dobbiamo credere che due ubriachi abbiano sabotato il North Stream e che Kamala Harris abbia tutte le doti per diventare un grande presidente solo perché quelli che lo scrivono… tengono famiglia.
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