L’amministrazione statunitense – secondo quando riportato dal Washington Post sabato scorso e ripresa da molti media internazionali – starebbe decidendo se fornire Kiev anche di “cluster bomb”, le bombe a grappolo messe al bando dal trattato di Oslo.
Chi scrive ha seguito per anni alla Camera dei deputati il lungo iter della legge che ha sanzionato e vietato l’uso delle bombe e mine antiuomo di cui le “cluster” sono una delle maggiori e più pericolose applicazioni pratiche.
Dopo i primi accordi di Ottawa del 1997 è seguito un trattato steso a Dublino nel 2008 e ratificato poi ad Oslo il 2 dicembre dello stesso anno che ha messo al bando la produzione e l’uso di questo tipo di ordigni.
Ben 107 sono state le nazioni firmatarie per mettere al bando un sistema d’arma che si è dimostrato capace, più che di uccidere, di mutilare moltissimi essere umani – soprattutto bambini – anche dopo mesi ed anni dalla fine di un conflitto, ma il trattato non è mai stato ratificato da alcuni Paesi tra cui Russia, Usa e Cina.
Le bombe a grappolo sono infatti delle armi da guerra “economiche” che uccidono e feriscono tipicamente non tanto i soldati in prima linea, ma migliaia di civili innocenti, a causa dell’alto numero di ordigni inesplosi che restano poi sparsi sui campi di battaglia dove possono esplodere successivamente anche per un semplice o casuale contatto.
Le munizioni cluster sono armi di grandi dimensioni che si aprono a mezz’aria spargendo ad ampio raggio decine o addirittura centinaia di bombe più piccole, spesso non più grandi di un barattolo o di una palla da tennis, che la malvagità umana ha spesso dipinto di colori sgargianti o con forme curiose ed accattivanti ed infatti i bambini sono la tipica vittima “collaterale” di queste armi perché – incuriositi – le raccolgono o le toccano.
Se tutte le armi hanno sempre un tasso di mancato funzionamento, per le loro caratteristiche le cluster sono particolarmente pericolose per l’ingente numero di sub-munizioni che rilasciano ma non esplodono.
È stato verificato che la percentuale delle mancate esplosioni non è inferiore al 15-20 per cento, per arrivare anche al 40-45 per cento, come riscontrato in alcune località dell’Afghanistan. Percentuali elevate che indicano come sul suolo, dopo il lancio di bombe a grappolo, la densità degli ordigni non esplosi assuma dimensioni macroscopiche, notevolmente superiori a quelle ottenibili se si utilizzassero mine antipersona o anticarro.
Praticamente per ogni contenitore lanciato rimangono sul suolo circa 20 sub-munizioni non esplose, di fatto vere e proprie mine antipersona. Considerando il numero dei contenitori che normalmente sono lanciati durante un periodo di belligeranza, le sub-munizioni inesplose possono raggiungere, quindi, numeri elevatissimi, e lo sanno bene le centinaia di migliaia di persone rimaste mutilate dal Laos all’Afghanistan, dall’Angola al Libano (dove tra l’altro, per anni, i genieri italiani hanno lavorato per lo sminamento).
Il nostro Paese ha prodotto (e forse ancora produce) queste bombe messe al bando ormai da molti anni, ma che sono rimaste stoccate nei depositi di moltissimi Paesi.
Nei mesi scorsi la Russia è stata accusata di usare questi ordigni, ma non ce n’è poi stata evidenza e la notizia che arriva ora da Washington non può che allarmare tutti, indipendentemente dalle posizioni personali verso il conflitto in Ucraina.
Certamente, se gli Usa non smentiranno queste fonti giornalistiche, si porrà anche un problema etico per gli alleati, perché è evidente come la possibilità ora sollevata dai consiglieri di Biden sarebbe estremamente pericolosa verso un ulteriore imbarbarimento della guerra in Ucraina.
L’Italia e l’Ue non hanno nulla da dire in merito? Se qualche leader avesse visitato gli ospedali di guerra dal Laos all’Afghanistan vedendo l’orrore di persone che sono saltate in aria su mine disseminate nei loro campi anche molti anni dopo una guerra (si pensi ad una risaia o a un campo di grano dove la bomba inesplosa finisce nel fango e riemerge solo anni dopo, quando viene toccata da un piede o da un aratro) non avrebbe dubbi dal meditare su uno stop deciso, immediato ed unilaterale all’uso di questi ordigni che – anche a livello di legalità internazionale – non dovrebbero mai essere usati in un conflitto.
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