L’Italia frena e si sfila, la Francia accelera. A conclusione del summit dei Paesi volenterosi che si è tenuto ieri a Parigi, Giorgia Meloni ha chiesto di coinvolgere gli Stati Uniti e ribadito il no all’impegno di truppe nazionali italiane nella “forza di rassicurazione” (Macron) a guida franco-britannica da dislocare non al fronte, è stato specificato, ma in alcuni punti strategici dell’Ucraina come presenza di deterrenza e dissuasione verso la Russia.
Se le sanzioni sono state confermate all’unanimità, Macron ha invece annunciato che i volonterosi sono pronti ad agire da soli. Una scelta che ha subito ricevuto l’ennesimo avvertimento di Mosca e che, lato Europa, rappresenta uno “stress test” – forse quello definitivo – per la tenuta politica della stessa Unione Europea, ammette Enzo Cannizzaro, ordinario di diritto internazionale e dell’Unione Europea nell’Università La Sapienza di Roma.
L’UE, spiega Cannizzaro al Sussidiario, si trova nella condizione di dover controbilanciare le ambiguità americane. Il prezzo che potrebbe dover pagare, tuttavia, è molto alto.
Cominciamo dall’Italia. La presidente del Consiglio ha ribadito il no ad una partecipazione di soldati italiani ad una missione che non sia sotto l’egida Onu. Come valuta questo punto?
Sarebbe del tutto auspicabile un’azione di peacekeeping sotto l’egida delle Nazioni Unite. Ma manca il consenso dei belligeranti, in particolare della Russia. Per due ragioni. La prima è che Mosca ritiene ancora di poter acquisire nel tempo vantaggi territoriali e geopolitici.
E la seconda?
Non si può pensare di organizzare una forza di pace contro il volere della Russia, anche alla luce della sua posizione come membro permanente del Consiglio di sicurezza.
La posizione italiana spicca soprattutto per una seconda istanza, quella dell’estensione all’Ucraina di una garanzia improntata all’art. 5 della NATO. L’ipotesi ha un fondamento?
La proposta italiana è giuridicamente possibile, anche senza l’ingresso formale dell’Ucraina nella NATO. Gli Stati membri della NATO potrebbero unilateralmente attribuire all’Ucraina questa garanzia e l’Ucraina dovrebbe accettare, anche solo tacitamente. Ma quella italiana non è una proposta facilmente realizzabile.
Per quale motivo?
Innanzitutto essa dovrebbe far seguito a una tregua, se non addirittura a un trattato di pace (tra Ucraina e Russia, nda), altrimenti comporterebbe istantaneamente il coinvolgimento della NATO nei combattimenti. E va detto che la prospettiva di azioni militari dirette da parte NATO contro uno Stato con l’arsenale atomico della Russia sarebbe davvero l’anticamera dell’ecatombe. Ma c’è un problema ulteriore.
Quale?
È assai dubbio che la dirigenza politica dello Stato militarmente più potente della NATO, gli Stati Uniti, accetti di assicurare garanzie che potrebbero trascinarlo in una guerra in Europa.
L’iniziativa dei “volonterosi” intende offrire all’Ucraina le agognate “garanzie di sicurezza”. Come va giudicato questo obiettivo nella situazione presente, fatta di guerra ancora combattuta e negoziati tra USA e Russia?
Le garanzie di sicurezza offerte dagli Stati europei sembrano tese a controbilanciare gli orientamenti ondivaghi degli Stati Uniti, i quali sembrano voler favorire pressoché a giorni alterni una parte o l’altra senza avere apparentemente una posizione univoca. Sono passati pochi giorni da quanto Trump ha revocato aiuti indispensabili per la difesa dell’Ucraina. Poi sembra aver percepito che il clima di favore verso la Russia stia ostacolando il processo di pace.
Dunque a Kiev serve un’alleanza con Bruxelles.
L’Ucraina ha bisogno di interlocutori affidabili, che in questo momento si trovano solo in Europa. Allo steso tempo, va detto che le divisioni fra gli Stati europei non trasmettono molta affidabilità.
Macron ha parlato di “forza di rassicurazione” da dispiegare sul campo in Ucraina. Non sarà di peacekeeping, come auspica l’Italia, ma dovrà formare l’esercito ucraino. Non sarebbe una missione incompatibile con le dichiarazioni e i caveat russi?
Qui si entra in un’area grigia. Le azioni di peacekeeping, siano esse sotto l’egida delle Nazioni Unite o di un gruppo di Stati, devono essere fondate sul consenso dei belligeranti. Non a caso la portavoce di Putin si è affrettata a chiarire che una forza di peacekeeping sarebbe vista come un intervento militare ostile. Da quel che emerge dal summit di Parigi sembra che alcuni Stati, certamente la Francia e il Regno Unito, vogliano alzare l’asticella dell’assistenza militare senza però essere coinvolti direttamente nel conflitto. Già dall’inizio della guerra l’esercito ucraino è stato addestrato dagli Stati occidentali. Ora si prospetta una “formazione” dell’esercito ucraino più vicina al fronte di guerra, ma sempre senza alcun coinvolgimento diretto.
Non si rischia, proprio a causa dell’ambiguità che ha descritto, uno stato di aperta belligeranza tra la Russia e i Paesi potenzialmente coinvolti?
Lo status di neutralità, codificato all’inizio del secolo scorso, è molto rigido: vieta di prestare assistenza militare – ma anche solo economica o finanziaria – dalla quale il belligerante possa trarre vantaggi militari. Ma molti studiosi pensano che il diritto di neutralità sia mutato.
In che modo?
Se uno Stato terzo ha il diritto, ai sensi della Carta ONU, di operare azioni militari a titolo di legittima difesa contro l’aggressore, esso dovrebbe avere il diritto di assistere l’aggredito anche indirettamente, attraverso mezzi e equipaggiamenti militari, operazioni di intelligence e così via, senza che ciò comporti l’assunzione dello status di belligerante.
Se questo tipo di supporto avvenisse, quali potrebbero essere le conseguenze?
La Russia avrebbe il diritto di bombardare i convogli che trasferiscono mezzi militare di Stati occidentali all’esercito ucraino, ma non potrebbe operare azioni militari contro il territorio degli Stati occidentali. La Russia ha più volte minacciato di superare questo limite, ma non lo ha mai fatto. Probabilmente sulla base di un accordo tacito.
I volenterosi rivendicano una iniziativa di fatto coerente con la filosofia europea della “pace attraverso la forza”. Chiedono l’unanimità, che manca, ma sono disposti ad agire da soli. Ci aiuti a capire.
A mio avviso, in questo momento storico è essenziale la rivendicazione europea di uno spazio politico per il sostegno militare all’Ucraina attaccata. Sappiamo che tale spazio non può essere quello della NATO, date le incertezze del suo maggiore azionista, e cioè gli Stati Uniti. Di conseguenza l’UE deve fare da sola, nella speranza che ciò induca gli USA a riprendere il proprio posto come garante della pace insieme agli Stati europei. Da parte sua l’Unione ha adottato, con decisione del Consiglio del 22 marzo 2021, uno “Strumento europeo per la pace” che intende prevenire conflitti armati e sostenere, anche militarmente, Stati terzi aggrediti. Ma la sua attuazione richiede un voto all’unanimità, come ogni decisione fondata sulla politica estera e di difesa. Ciò comporta un’evidente difficoltà dell’Unione e il rischio di irrigidire la propria posizione nei confronti della Russia. Di conseguenza, tale filosofia europea della “pace attraverso la forza” potrà essere attuata solo ad opera di singoli Stati.
Quello che lei dice trova conferma nella dichiarazione di Macron: “non serve l’unanimità perché questa missione prenda vita”. Si apre però un altro problema: l’iniziativa dei volonterosi sancisce la morte di una politica europea unitaria in un contesto di emergenza e di grande difficoltà.
In effetti non c’è alcun vincolo europeo che vieti ad alcuni Stati di organizzare missioni di assistenza militare senza il coinvolgimento dell’UE. Ma quel che stupisce è lo stupore di coloro che pensino diversamente. La politica estera europea è fondata sulla unanimità degli Stati membri. L’assistenza militare indiretta dell’UE a favore dell’Ucraina è stata possibile perché gli Stati riluttanti, in particolare l’Ungheria, hanno chiesto e ottenuto di non partecipare a queste azioni, senza però impedire agli altri Stati di realizzarle. Ora la questione è più difficile, perché senza l’ombrello americano alcuni Stati europei, per motivi diversi, sono riluttanti ad alzare l’asticella dell’assistenza militare.
Quindi?
Se la missione riuscisse a partire, sarebbe un’azione imputabile solo ai singoli Stati che vi partecipino.
I volonterosi sembrano la più coerente applicazione del Libro bianco, dove si dice che il futuro dell’Ucraina è fondamentale per quello della stessa unità europea, si ribadisce l’assistenza militare e si mette l’Ucraina al centro di una “strategia del porcospino” (p. 11). Dove ci porta questa politica?
Io credo che le divisioni fra gli Stati europei facciano male all’Europa, soprattutto in questo frangente storico, nel quale l’Europa deve assumere un ruolo decisivo. La partecipazione degli Stati europei alle azioni di assistenza militare alla Ucraina sotto l’ombrello degli Stati Uniti era una scelta relativamente facile; oggi è più difficile, perché gli ondeggiamenti degli Stati Uniti richiedono un impegno dell’Europa in prima persona.
“Dulce bellum inexpertis”, diceva Erasmo. Chi ama la guerra è perché non l’ha vista in faccia.
È vero che ottant’anni di pace hanno nutrito l’illusione di una pace perpetua. Ma, negli ultimi trent’anni il mondo è cambiato radicalmente e oggi la pace ha un costo, non solo finanziario. Se l’Europa non saprà, con saggezza ma anche con fermezza, allontanare le minacce che non vengono solo da regimi tradizionalmente autocratici, ma anche da Stati di antiche tradizioni democratiche, rischia di essere travolta dalla storia.
L’Italia ha margini di iniziativa che dovrebbe sfruttare?
L’Italia, occorre ammetterlo, non ha un’autorevolezza indiscussa nelle relazioni internazionali, però dispone di una tradizione diplomatica votata a disinnescare le crisi attraverso il dialogo.
E non è positivo?
Certo. Si tratta di una dote rara che può essere preziosa al fine di tenere accesa una fiammella di dialogo, anche nelle crisi più problematiche. Ma dovrebbe accompagnarsi ad una fermezza nel difendere i principi e i valori fondamentali della democrazia e del diritto internazionale, che non sempre è stata una prerogativa italiana.
(Federico Ferraù)
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