Il papa l’ha fatta grossa. Ha osato dire che l’uccisione di Darya Dugina è stato l’ennesimo esempio di come la guerra faccia vittime innocenti. In più ha ribadito che la guerra è una cosa da pazzi, perché non è con la guerra che si risolvono le questioni internazionali.
Roba da pazzi! Non la guerra, ma seguendo i commenti di alcuni, quello che detto il papa.
Il fatto è che ormai a nessuno interessa più la pace, ma la vittoria, nonostante il sacrificio enorme di vite umane di tutte e due le parti.
Certo la pace – dopo – quando qualcuno avrà vinto, cioè la pace dei vincitori.
E così il ministero degli Esteri dell’Ucraina ha convocato il nunzio apostolico mons. Visvaldas Kulbokas per esprimere tutto il disappunto di Kiev per la posizione di papa Francesco: “il cuore ucraino è lacerato dalle parole del papa. È stato ingiusto”.
E sì che papa Francesco ha sempre condannato chiaramente l’aggressione della Federazione Russa e si sta preparando, nonostante le sue precarie condizioni di salute, ad andare in Kazakhstan dove avrebbe dovuto incontra il Patriarca Kirill.
Sicuramente non avrebbero discusso della questione del “Filioque” o dell’assegnazione dei parroci. Sicuramente papa Francesco avrebbe detto al “chierichetto di Putin” che non è il caso di illudersi sul peso che oggi ha il cristianesimo, non solo in Occidente, ma anche in Russia e dintorni. Che dovunque sta dominando un neopaganesimo che ha nella guerra una delle sue espressioni più naturali.
Avrebbero parlato, speravo, di quel difficile compito di rieducazione del popolo che, almeno a papa Francesco, costa l’ostilità dei potenti.
Già, avrebbero, speravo. Perché questo incontro pare proprio che non si farà.
Probabilmente il “chierichetto” avrà ricevuto il “consiglio” del capo di sottrarsi a un confronto imbarazzante, anche se condotto “in casa”, visto che la Chiesa ortodossa considera il Kazakhstan sotto la propria giurisdizione canonica.
Scrivo queste cose con amarezza avendo ancora negli occhi, e nelle orecchie, uno degli ultimi incontri del Meeting di Rimini.
Dopo l’intervento coraggioso di alcune esponenti di Memorial e della poetessa Sedakova, che interveniva direttamente da Mosca, che con dolore parlavano anche dell’invasione dell’Ucraina, ho dovuto sentire una specie di replica di un insegnante dell’Università Ucraina di Kharkiv che le accusava di dare più interesse ai misfatti del passato che a quelli del presente.
Stavo ascoltando io, che da sei mesi ho in casa una sua collega di Kharkiv e che per cinque mesi ho avuto in casa il giovane figlio del rettore maggiore dell’Università di Kharkiv. Con quest’ultimo è nata una grande amicizia piena di riconoscenza da parte sua e con la promessa da parte mia di visitare, appena possibile, la sua città.
Capisco il rancore di molti ucraini verso Putin, ma non posso condividere il fatto di giustificare l’ostracismo nei confronti della cultura russa che in alcuni suoi esponenti costituisce addirittura un patrimonio universale.
Nella mia famiglia ch’è chi ha combattuto i tedeschi sia nella prima che nella seconda guerra mondiale, ma non mi hanno mai insegnato a disprezzare Goethe o Beethoven.
E così, caro papa, quando ci vedremo tra poco a Nur Sultan, davanti non solo al nobile popolo kazakistano, ma anche a quelli disorientati e impauriti del mondo, rinnova la tua sfida, in fondo la stessa dello starostva di Solov’ev davanti all’Anticristo: “Quello che abbiamo di più caro nel Cristianesimo è Cristo stesso. Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui, giacché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della Divinità. Da te, o sovrano, noi siamo pronti a ricevere ogni bene, ma soltanto se nella tua mano generosa possiamo riconoscere la santa mano di Cristo”.
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