Senza un sostegno internazionale allargato, con i russi che avanzano e un Biden sempre più debole, Zelensky si sente in difficoltà e per questo ha iniziato a parlare di soluzione diplomatica alla guerra in Ucraina, telefonando addirittura al candidato alla Casa Bianca Donald Trump. Chi evita di parlare di pace, invece, è l’Europa, che fin qui ha seguito pedissequamente la linea dell’amministrazione Biden. E proprio per questo, spiega Marco Bertolini, generale già comandante del COI e della Brigata Folgore in diversi teatri operativi dall’Afghanistan al Kosovo, rischia di venire superata da Zelensky nell’individuazione di una strada per le trattative.
Uno smacco doppio per la UE, visto che a tutto questo si è arrivati dopo la missione da Trump e poi a Kiev, Mosca e Pechino, del presidente ungherese Viktor Orbán, il cui operato l’Unione ha appena sconfessato. Ma un negoziato è necessario anche per evitare allargamenti del conflitto a livello mondiale: secondo il Wall Street Journal i russi potrebbero fornire armi agli Houthi come ritorsione rispetto al placet americano ad utilizzare armi USA per attaccare il territorio russo da quello ucraino.
Zelensky parla con Trump e ammette che ci potrebbe essere una soluzione diplomatica alla guerra entro fine anno. Un cambio di prospettiva non da poco per chi voleva riconquistare tutti i territori occupati dai russi. Cosa è successo?
Zelensky ha visto mancare alcuni sostegni: uno è la solidarietà internazionale che avrebbe dovuto manifestarsi nella Conferenza di pace in Svizzera, dove molti Paesi non hanno firmato la risoluzione finale e non si è andati oltre alcune affermazioni di principio. Inoltre, le cose sul campo vanno sempre peggio: ogni tanto all’esercito di Kiev riesce un colpo in profondità nel territorio russo, ma nella campagna militare ucraina non cambia niente. C’è un fronte amplissimo lungo il quale i russi premono e gli ucraini devono spostare continuamente gli uomini per tappare le falle che si stanno creando, soprattutto nella parte centrale del Paese.
Quello che manca ora, però, è soprattutto l’appoggio degli americani?
La terza stampella che manca, infatti, è Biden, abbandonato dai suoi stessi sostenitori negli USA. Ha rappresentato un elemento di appoggio forte, ma ormai si parla di sostituirlo come candidato democratico alle presidenziali. Per contro Trump esce rafforzato dall’attentato, per la determinazione che ha dimostrato reagendo all’episodio. A questo punto anche Zelensky è obbligato a scoprire l’acqua calda, cioè che la conferenza di pace la puoi fare solo se c’è anche la Russia. Sente la necessità di individuare una exit strategy.
La sua non è una semplice dichiarazione: ha telefonato a Trump. È davvero entrato nell’ordine di idee di iniziare una trattativa?
Il fatto stesso che abbia telefonato a Trump è significativo. L’unico che aveva parlato con il candidato repubblicano finora era stato Orbán, l’apripista che ha posto le basi di questa apertura di Zelensky. Non è un caso che la telefonata sia arrivata dopo la missione del premier ungherese. Il presidente ucraino ha capito che c’è una persona che ha un rapporto privilegiato con Trump e che nel caso quest’ultimo venisse eletto gli frutterà parecchio. Quindi si muove in questa direzione. Fa specie che si muova solo lui, mentre tutti i governi occidentali, tra cui il nostro, continuano a fare il pesce in barile.
Zelensky, insomma, quanto alla ricerca della pace, sta scavalcando l’Unione Europea che continua a parlare di guerra e sostegno eterno a Kiev. La UE rischia di diventare come quei giapponesi ritrovati nella giungla decenni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, convinti che il conflitto fosse ancora in atto?
I giapponesi in questo caso saremmo noi, sperduti nella giungla ad aspettare che finisca una guerra che intanto è già finita. Non è così in Ucraina, il conflitto continua, ma ci sono dei segnali di cambiamento che avvengono nonostante la UE e la NATO. Entrambe hanno fatto di tutto per impedire il negoziato e stanno per essere scavalcate da Zelensky. Mi chiedo se i nostri partiti di centrodestra nella campagna elettorale USA supporteranno Trump, che hanno sostenuto in quella precedente, oppure Biden o chi lo sostituirà. Hanno perso la bussola. Ed è successo in tutta Europa. Hanno sentito il dovere di spingere per una guerra a tutti i costi, invece avrebbero dovuto spingere per una pace a tutti i costi.
Se alla fine si arrivasse alla pace per un’iniziativa di Orbán assecondata da Zelensky, per l’Europa sarebbe uno smacco.
Certo, è così. Il problema non è risolto: in Europa la Polonia e i Paesi baltici hanno posizioni diverse rispetto a Orbán. Però la parte occidentale del continente – Germania, Spagna, Italia e Francia – va al traino, sta aspettando di capire cosa succederà senza prendere iniziative, riciclando la solita retorica. Avremmo dovuto essere noi i protagonisti di questa situazione. La UE non ha fatto altro che fare da megafono di quello che diceva la NATO, a sua volta megafono di Biden. A un certo punto, però, gli Stati Uniti hanno lasciato l’Ue con il cerino in mano, dicendo che ci doveva pensare lei: non per niente Blinken ha appena detto che l’Ucraina potrebbe proseguire la guerra anche senza gli USA perché ci sono 20 Paesi che hanno promesso di sostenerla.
Trump ha parlato di un’ottima telefonata con Zelensky: pur volendo la fine della guerra continuerà a sostenerla anche se non più militarmente?
Adesso abbiamo un approccio quasi fideistico, come se Trump potesse imporre alla Russia, e alla Cina, una soluzione giusto per arrivare alla pace. Trump non è mago Merlino: il percorso è abbastanza lungo. Se eletto presidente, dovrà trovare una maniera per contemperare gli interessi di entrambi i contendenti. L’Ucraina non potrà riavere i territori conquistati dalla Russia, ma si potrà stabilire che Kiev entri nella UE (anche se non nella NATO) o comunque che ci sia un patto di sostegno nel lungo periodo per il Paese.
Cosa serve per arrivare a un accordo?
Putin vuole una nuova intesa sulla cooperazione internazionale, vuole riallacciare i rapporti con l’Europa e un patto chiaro con UE e USA. Questa d’altra parte è la causa della guerra: aveva chiesto nel 2021 la dichiarazione nero su bianco che l’Ucraina non sarebbe entrata nell’Alleanza Atlantica e il rifiuto ha causato la guerra l’anno dopo.
L’Europa dovrà rimangiarsi anche tutta la politica economica conseguente alla guerra, quella che ha portato alla rottura delle forniture di gas dalla Russia? Il caso della Germania che non trasferisce alla Repubblica Ceca il gas che le spetta è il segnale che si sta pagando proprio l’assenza del gas russo?
Credo che questo dovrà accadere ineluttabilmente, anche perché la Russia è un Paese europeo. Non succederà dall’oggi al domani: sono state spese troppe “parolacce” dagli uni e dagli altri per essere dimenticate. L’obiettivo di Putin, tuttavia, è la normalizzazione dei rapporti. C’è uno stato di guerra in cui UE e USA vedono nella sconfitta della Russia la fine delle ostilità, ma Mosca non può accettarlo. Putin vuole il riconoscimento che la guerra è stata fatta per motivi legittimi, anche se non coincidono con quelli della controparte, così come è legittimo tutelare la popolazione russofona in un altro Paese.
Il rischio di conflitto è sempre dietro l’angolo?
Ricordiamoci il caso dei missili a medio e lungo raggio che vorrebbero mettere in Germania: una minaccia diretta per la Russia. Bisogna interrompere questa escalation verso una guerra che una volta partita non si fermerebbe più.
Zelensky dice che si potrebbe far finire la fase più acuta della guerra prima che finisca l’anno. Andiamo veramente in questa direzione?
Credo di sì. Siamo comunque in una fase estremamente volatile. Da qui a novembre, data delle elezioni americane, o a gennaio, data dell’insediamento del nuovo presidente, si possono creare altri motivi di inciampo. Quando Trump vinse nel 2016, nell’interregno fra elezioni e insediamento Obama schierò una brigata corazzata nei Paesi baltici.
(Paolo Rossetti)
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