Benché ufficialmente non ve ne sia notizia, da tempo si tengono incontri sotto traccia tra funzionari russi e americani, probabilmente a Istanbul, per discutere le condizioni per la possibile apertura di una trattativa di pace fra Mosca e Kiev. Fonti anonime hanno rivelato al New York Times alcuni dettagli relativi a uno di questi ultimi incontri, che contengono elementi di inquietante verità. “Non importa quanti soldati russi vengano uccisi o feriti sul campo di battaglia, la Russia non si arrenderà” si legge sul quotidiano americano. Scendendo nel dettaglio, si legge ancora, “Vladimir Putin è disposto ad accettare la morte o il ferimento di 300mila soldati russi, tre volte le perdite di Mosca sinora”.



Come ci ha detto in questa intervista Vincenzo Giallongo, colonnello dei Carabinieri, esperto di sicurezza, numerose missioni estere, in Iraq durante la missione Antica Babilonia, “più che la volontà di mandare a morire i suoi soldati, una dichiarazione del genere sottolinea ulteriormente che, se alla Russia non saranno concesse le condizioni che chiede, e cioè Crimea e Donbass, la guerra non si fermerà e potrà proseguire per un tempo indeterminato”.



In che modo possiamo interpretare queste dichiarazioni di fonte russa sulla durata della guerra e sull’impegno senza condizioni a portarla avanti? Sappiamo che la Russia, ad esempio durante la Seconda guerra mondiale o durante la prima offensiva del febbraio scorso, non si è mai fatta scrupolo di mandare a morire in massa i suoi soldati.

Sono cose, però, che accadevano nel passato. È indubbio che i regimi abbiano sempre dato meno importanza alla vita dei loro cittadini rispetto a quanto fanno i Paesi democratici. Non siamo cioè abituati a considerare i nostri soldati carne da macello. Questo però, anche grazie al coinvolgimento che hanno oggi i mass media, non è più possibile neanche per i russi. Almeno una parte dei morti al fronte deve essere resa nota alla popolazione. Lo dimostra il fatto che lo stesso Putin davanti alla reazione popolare quando aveva pensato alla coscrizione obbligatoria sia dovuto ricorrere a quella volontaria.



Però i morti fra le truppe russe sono ormai tanti.

Rispetto ai ragazzi di 18 anni morti al fronte, la colpa non si può far ricadere su Putin, ma sui suoi generali, che avevano completamente sottovalutato la resistenza ucraina e soprattutto il fatto che l’Europa potesse schierarsi così compatta nel sostenerla. Quando si sono resi conto che questi soldati non potevano far fronte a questa resistenza, hanno cercato prima mercenari come i ceceni, poi si sono ritirati. Una ritirata che non è stata segno di sconfitta, ma di intelligenza strategica per potersi riorganizzare e riposizionare.

Le dichiarazioni in oggetto, al di là dei numeri, possono significare l’intenzione di continuare la guerra fino alla vittoria?

Assolutamente sì. Putin non accetterà mai una sconfitta a tavolino. Deve far fronte a grossi problemi interni, come la vendita a prezzi scontati di gas e petrolio ai suoi paesi amici come la Cina. Deve scontrarsi con almeno una parte degli oligarchi che ormai da quasi un anno si vedono privati della loro possibilità di movimento. Le famiglie non sono felici di vedere i loro giovani andare a morire. Forse comincia a essere visto sotto traccia, e per qualcuno anche in modo meno nascosto, come una figura da essere sostituita. Putin ha messo in preventivo due opzioni: una trattativa a suo favore e una guerra di lunga durata, facendo leva sul patriottismo tipico del suo popolo.

Zelensky nei giorni scorsi ha chiesto alla Nato di disporre di uno scudo aereo che impedisca i bombardamenti missilistici russi. Sarebbe un cambiamento di scenario notevole, ma esiste davvero questo scudo?

Esiste. Il primo a volerlo fu Reagan negli anni 80. Si tratta sostanzialmente di un intercettore endo-atmosferico europeo per affrontare minacce aeree emergenti e complesse come missili Cruise ipersonici, veicoli di volo ipersonici, missili balistici di manovra. Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, visto lo stato di emergenza di tutta l’Europa che si è ritrovata a essere un possibile obbiettivo di Mosca, c’è stata una accelerazione affinché un clone di quel sistema venisse adottato anche da noi.

Ed è stato così?

Sì, è in fase di ultimazione. Soprattutto la Germania ne ha chiesto una attuazione pratica. Si chiama European Sky Shield Initiative, ne fanno parte 14 Paesi della Nato, tra cui anche la Finlandia, ma non Francia e Italia.

Perché?

La Francia ha sviluppato da tempo un sistema di difesa terra-aria a medio raggio che è già completamente integrato nella catena di controllo del comando aereo alleato della Nato e di cui facciamo parte anche noi. C’è solo un problema.

Quale?

Il costo, che è veramente notevole.

Ma sarebbe possibile applicarlo all’Ucraina, come chiede Zelensky?

Tecnicamente sì, bisogna vedere se la Nato è disposta a farsi carico della spesa. Oltre all’aspetto economico, c’è però anche quello politico. Dotare l’Ucraina di questo sistema difensivo potrebbe essere visto dalla Russia come un coinvolgimento diretto della Nato. Un conto è fornire armamenti, un altro un sistema di questo tipo. Potrebbe essere considerato come l’entrata in guerra della Nato contro la Russia.

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