Facciamo chiarezza sulla situazione della guerra in Ucraina. È un dato di fatto che l’invasione del territorio dell’Ucraina, da parte della Federazione Russa, è una chiara violazione del diritto internazionale. D’altra parte, è pure evidente che per giustificare il loro intervento i russi si sono rifatti alla questione che risale al 2014, da quando in alcuni territori dello Stato ucraino è in atto una rivolta nei confronti del governo di Kiev da una parte maggioritaria della popolazione che al rapporto con l’Occidente preferisce quello con la Russia.
In tutti questi anni non mi pare che la diplomazia abbia preso sul serio la contesa, neanche quando c’è stata l’annessione della Crimea. C’è stata la condanna del fatto in sé, il non riconoscimento del diritto della Federazione Russa di annettere la Crimea, ma sostanzialmente niente altro. Il fatto è che anche per motivi storici la Crimea, a cominciare dalla maggioranza dei suoi abitanti, da sempre si considerava russa. Nella nuova guerra sul fronte sud-orientale dell’Ucraina l’invasione ha toccato zone dove le popolazioni non sono totalmente schierate e in più l’invasione sta toccando territori decisamente ostili al governo di Mosca.
In questo senso bisogna ricordare ancora una volta che la divisione non è tra due etnie, ma tra diversi riferimenti politici. C’è chi vuole che l’Ucraina diventi un Paese europeo occidentale e chi preferisce continuare a far parte di quel mondo euroasiatico di cui la Russia si sente leader. Non c’entra nulla la divisione delle lingue e delle culture: molti di quelli che parlano russo non sono filo-russi e molti che parlano prevalentemente l’ucraino rimpiangono il tempo dell’Unione Sovietica, “quando eravamo tutti fratelli”, o almeno parenti stretti.
Così oggi risultano chiare alcune cose: l’urgenza, evidente a tutti, di fermare il conflitto armato che continua ad uccidere persone e a distruggere il futuro di chi rimane; evitare che il conflitto degeneri in un conflitto nucleare, come da queste pagine non abbiamo mai escluso. Non è un caso che su questo punto Stati Uniti e Russia, nonostante tutto, pare vogliano riprendere le trattative; trovare un compromesso accettabile che abbia per ora la creazione di una zona “neutra” nei territori contesi, sotto il controllo internazionale.
Questo permetterebbe di affrontare il problema spinoso della difficile convivenza tra filo-russi e filo-occidentali, evitando ad esempio nuove edizioni del muro di Berlino. In questo momento tutte e due i contendenti non sono oggettivamente forti, come ostentano di esserlo. L’Ucraina non può non risentire ormai delle perdite in vite umane e distruzioni. L’appoggio dell’Occidente è condizionato da molti se e molti ma. In più al tradizionale orgoglio ucraino non risulta gradita, in molti, la prospettiva di diventare una specie di protettorato americano in Europa. Dal canto suo, la Federazione Russa deve registrare ogni giorno nuove divisioni. A parte quelle evidenti tra i vari capi militari, a parte l’emorragia creata da migliaia di giovani che fuggono per non fare il servizio militare, soprattutto nelle repubbliche non russe della Federazione, come ha ammesso con preoccupazione lo stesso Putin, comincia a serpeggiare qualcosa di più che un malcontento. Perché non dovremmo anche noi ceceni, tatari e daghestani avere la nostra indipendenza come ce l’hanno i kazaki, gli uzbeki e i tagiki, magari sotto la protezione del Grande Fratello cinese?
Dunque è proprio l’ora, perché conviene a tutti di fare la pace. E questo il cardinale Zuppi lo sa bene. In effetti oltre alle forze militari di interposizione sarebbero necessarie forze civili di pacificatori che dovrebbero affrontare, ad esempio, il delicato momento di una distribuzione equa degli aiuti umanitari. In questo campo l’esperienza della Comunità di Sant’Egidio oltre ai buoni rapporti che la Chiesa cattolica continua a conservare, nonostante tutto, sia col Patriarcato di Mosca che con la metropolia di Kiev, potrebbero alimentare questa forza di pace, naturalmente anche con la presenza di “uomini di buona volontà” non necessariamente dipendenti dalle Chiese.
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